TOMBAROLI.

Da quando l’uomo ha cominciato a seppellire i suoi cari in tombe fastose dotate di corredi ricchi ed abbondanti, hanno fatto comparsa sulla terra i tombaroli. Già ne abbiamo traccia durante l’antico regno degli Egizi (esattamente la IV dinastia), dove per proteggere la mummia del faraone dai predoni del deserto non solo venivano inserite trappole ed ostacoli invalicabili all’interno delle piramidi, ma venivano anche allestite vere e proprie truppe di monaci difensori all’interno del recinto sacro (e molte volte erano loro gli stessi predatori). Inoltre con il passare dei secoli saccheggiare le tombe dei grandi faraoni non solo diventò un mestiere ma anche un’arte: si arrivò persino a scrivere testi che aiutavano il “curioso” a orientarsi nelle grandi tombe ed a scegliere gli oggetti più raffinati (il cosiddetto “libro delle perle nascoste”). Anche a Roma abbiamo esempi tangibili della presenza di tombaroli “pionieri” , infatti non sono rari agli archeologi ritrovamenti di tombe etrusche saccheggiate in epoche precedenti: i romani in questo erano maestri, e le impronte del loro passaggio sono tutt’oggi chiare e riconoscibili, in quanto si accontentavano solo degli oggetti in metallo, unguentari, e vasi corinzi, buttando a terra tutta la ceramica comune ed il bucchero.

Nell’anno 44 a. C., Giulio Cesare dedusse una colonia nel posto dove sorgeva Corinto (già distrutta dai Romani nel 146); i primi coloni cominciarono a costruire case ed officine nei propri appezzamenti di terreno e cominciarono così a rinvenire tombe contenenti centinaia di vasi corinzi e bronzi eccellenti molto graditi nei palazzi imperiali (aes corinthium): il fenomeno fu talmente apprezzato che a Roma vennero persino aperte botteghe e negozi che vendevano (a caro prezzo) oggetti provenienti dalle tombe di Corinto, i cosiddetti “necrocorinzi”. Il saccheggio delle tombe etrusche continuò per parecchi anni fino a quando ebbe il suo massimo apice commerciale alla fine della seconda guerra mondiale, quando la povertà spinse migliaia di contadini del centro e sud Italia a vendere reperti impareggiabili ad ingenti collezionisti americani e svizzeri per un tozzo di pane. Oggi tra i moderni agricoltori con problemi finanziari il confine tra lecito ed illecito è molto sottile, e’ molto facile imbattersi in tombe e camere funerarie durante l’aratura, così per curiosità o per casualità ci si ritrova con reperti preziosi tra le mani.

Il lavoro del tombarolo si articola solitamente in più fasi così suddivise:
– Ricognizione
Per procedere al rinvenimento di una tomba, il tombarolo deve prima scoprire una necropoli possibilmente intatta, cosa molto difficile in quanto le necropoli dei popoli italici sono visibili anche ad occhi inesperti grazie alla presenza del “tumulo funerario”, una massa di terra quasi sempre circondata da pietre, caratterizzata da un diametro notevole ed alta a volte più di due metri, posizionata sopra la sepoltura. La prima delle mosse di ricognizione è quella di localizzare un appezzamento di terreno idoneo a contenere una necropoli: un terreno costellato di tumuli di terra grandi e piccoli, o pietre posizionate sulla terra verticalmente, è il luogo adatto. Anche la presenza di pareti rocciose o rovine è un buon segnale in quanto esistono le cosiddette necropoli rupestri, molte volte scavate nel tufo. Un abile tombarolo per localizzare una sepoltura si basa sul colore della terra e dell’erba che denota macchie di colore diverso simili ad “isole” circolari sopra una cavità, o sulla crescita smisurata di alcune specie di piante isolate (dovuta alla consistente umidità del sottosuolo): l’erba medica coltivata nei campi e’ un ottimo segnale in quanto forma veri e propri negativi della tomba sepolta.

L’attrezzo saggiatore del tombarolo medio rimane sempre il cosiddetto spillone: una stecca di ferro appuntita lunga circa un metro e mezzo che serve a sondare il terreno. Come lo spillone trova il coperchio di una tomba, con un abile