Archivi categoria: Studi e Ricerche

Giuseppe Pipino. Il genovese Bartolomeo Pernice e l’allume di Ischia: note di archeologia medievale della produzione.

Con il termine allume viene designato un gruppo di sali (solfati doppi idrati di metalli trivalenti e monovalenti) che, a seconda dell’elemento prevalente, assumono nomi specifici diversi. L’allume potassico naturale (kalinite) è un minerale abbastanza comune in ambienti vulcanici, sotto forma di sottili efflorescenze: noto ed apprezzato sin dal neolitico per le sue qualità astringenti e ignifughe, il prodotto trovava largo impiego, oltre che in medicina e per rendere ignifugo il legno, nella concia delle pelli, come fissante nella colorazione dei tessuti, come fondente nella lavorazione dei metalli e del vetro, e altro. Secondo un autore del primo Cinquecento, “…Gli Alchimisti & li parteliori molto se ne servono, anzi senza esso le loro acque acute far non possono, come ancor li tentori di panni & lane, alli quali non le altrimenti necessario chel pane a l’homo” (BIRINGUCCIO 1540, pag. 31)….

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Autore: Giuseppe Pipino – info@oromuseo.com

 

Michele Zazzi. Le navi etrusche.

L’aspetto delle navi etrusche può essere desunto prevalentemente dalle fonti iconografiche.
Gli autori Greci e Romani infatti scrivono del dominio degli Etruschi sui mari dell’Italia preromana, evidenziando la loro fama di temibili pirati ma ci forniscono poche notizie sulle navi etrusche. Plinio il Vecchio (Nat. Hist. VII, 57; VIII, 209) riferisce che il rostro delle navi sarebbe stato inventato dagli Etruschi; Livio (Storie, XXVIII, 45), ci parla di vele di lino e del legno utilizzato per la costruzione delle imbarcazioni: quercia e faggio per la chiglia e le parti interne, abete per gli alberi.
Anche i contributi derivanti da relitti risultano poco significativi per la difficoltà di attribuire con certezza l’origine etrusca delle navi (in considerazione della frequente eterogeneità dei carichi) e per lo stato di conservazione degli stessi.
I modellini di barchette d’impasto del periodo villanoviano (in particolare da Tarquinia), rinvenuti per lo più in contesti funerari e quindi con valenza probabilmente allusiva all’ultimo viaggio, non forniscono elementi di rilievo in ordine alla tipologia delle imbarcazioni etrusche.
Alcuni elementi possono semai essere tratti dalle testimonianze iconografiche etrusche delle fasi orientalizzante ed arcaica.

Il cratere di Aristonothos del 650 a.C. (proveniente da Cerveteri e conservato ai Musei Capitolini) potrebbe rappresentare uno scontro tra una nave greca (a sinistra) ed una nave etrusca (a destra). La prima sembra essere una nave da guerra con scafo piatto, poppa alta e prua con sperone ed occhio apotropaico. La nave di destra sembrerebbe invece di tipo mercantile, a vela, con scafo maggiormente profondo e ricurvo, prua con sperone aguzzo, poppa con doppio timone ed albero al centro dello scafo. Relativamente all’equipaggio l’imbarcazione greca presenta chiara distinzione tra rematori e soldati sul ponte; la nave etrusca contiene guerrieri pronti allo scontro sul ponte ed un uomo sulla coffa con compiti di avvistamento.

Un piatto ceretano dalla necropoli di Acqua Acetosa Laurentina della metà del VII secolo a.C. sembrerebbe rappresentare un’imbarcazione da pesca. La nave presenta scafo ricurvo, prua appuntita, poppa revoluta ed albero al centro con vela rettangolare. Si vedono anche nove remi ed un grosso pesce colpito da un uomo munito di fiocina a prua.

Il disegno di una nave da guerra si ritrova sulla stele di Vel Kaikna databile al V secolo a.C. (e proveniente dalla necropoli dei Giardini Margherita a Bologna). A poppa il timoniere regge il timone, sul ponte vi sono due guerrieri con corazza e la vedetta, che indossa un mantello, a prua scruta l’orizzonte. La nave è fornita di sperone. Le vele sono ripiegate. Dalla chiglia dell’imbarcazione sbucano sette remi e si vedono anche le teste di tre rematori.

La tomba della Nave (di Tarquinia databile alla metà del V secolo a.C.) prende appunto il nome dalla rappresentazione (sulla parete sinistra) di una grande nave da carico con lungo scafo, alta prua e poppa. L’imbarcazione presenta due alberi (per facilitare le manovre) dai quali si diparte il sartiame. Sul ponte vi sono cinque marinai dediti alle manovre. Nei pressi della poppa si scorgono due grossi remi con funzione di timone.

Si ritiene che inizialmente (fase villanoviana) gli Etruschi si siano ispirati a modelli di imbarcazioni egei e fenici, ma che le loro imbarcazioni abbiano nel tempo (periodo orientalizzante ed arcaico) assunto caratteristiche proprie. Lo scafo delle navi etrusche sembra ampio e capiente e si evidenzia per la presenza di uno sperone a prua (o di una prua particolarmente aguzza) per colpire le navi nemiche, ma anche con funzione di tagliamare ed al fine di favorire un miglior galleggiamento dello scafo. Si è pertanto pensato ad una tipologia di nave ibrida con connotati mercantili, ma adattabile anche al combattimento. Dall’iconografia si ricava anche che le navi etrusche potevano essere dotate di un doppio cassero (ponte sopraelevato), avevano un albero centrale, venivano governate da due timoni a poppa ed utilizzavano vele quadrangolari.
Successivamente, a cominciare dal V secolo a.C., la funzione delle navi si sarebbe sempre più diversificata come sembrerebbe attestato dalla nave oneraria riprodotta nella tomba della Nave e dall’imbarcazione da guerra rappresentata nella stele di Vel kaikna.

Sulle navi etrusche cfr., tra l’altro:
– Giulia Pettena, Gli Etruschi ed il Mare, Ananke, 2002;
– Claudio Castello, Gli Etruschi sul mare.

Di seguito immagini del cratere di Aristonothos, del piatto da Cerveteri di Acqua Acetosa Laurentina, del disegno della stele di Vel Kaikna e la rappresentazione della nave della tomba omonima di Tarquinia.

Autore: Michele Zazzi – etruscans59@gmail.com

Francesca Bianchi. Giovanni Di Stefano: le città dei Greci di Sicilia.

La colonizzazione greca dell’VIII-VI sececolo a.C. fu il movimento di uomini più imponente nella storia del Mediterraneo. Nessun modello migratorio moderno può paragonarsi alla colonizzazione greca della Sicilia. Le dinamiche economiche, parentali, sociali e commerciali che determinarono questo fenomeno furono all’origine dei processi di fondazioni di nuove città. Il ruolo politico e religioso degli ecisti, delle città-madre e delle élites furono determinanti nei processi di occupazione dei territori da parte dei Calcidesi, dei Megaresi e dei Corinzi che fondarono colone primarie (Naxos, Siracusa, Megara ecc.) e secondarie (Selinunte, Camarina, Agrigento).
La scelta dei siti e la prima urbanizzazione delle aeree pubbliche (civili e religiose) è un processo unico nella storia urbana del mondo antico d’Occidente . Anche la monumentalizzazione delle colonie con gli edifici civili (il teatro di Siracusa) e i templi (il tempio di Zeus a Selinunte, l’Olympieion di Agrigento) può considerarsi un unicum nella storia dell’architettura greca.

FtNews ha intervistato l’archeologo Giovanni Di Stefano, autore del libro I Greci di Sicilia. Le città (Abulafia editore, 2022). Il testo, voluto dalla Banca Agricola Popolare di Ragusa e impreziosito dalle belle foto di Luigi Nifosì, si avvale di una pregevole introduzione curata dal prof. Massimo Cultraro…

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Autore: Francesca Bianchi – francesca-bianchi2011@hotmail.com

Info:
Autore: Giovanni Di Stefano
Introduzione: Massimo Cultraro
Fotografie: Luigi Nifosì
Data di Pubblicazione: 31 novembre 2022
ISBN: 978-88-946237-8-9
Pagine: 152 [Cartonato a colori 300×240 mm]
Edizioni Abulafia
https://www.abulafiaeditore.it/index.php/prodotto/greci-sicilia/

Michele Zazzi. I graffioni etruschi.

Con il termine graffione ci si riferisce ad un’asta di bronzo terminante in più uncini (con un diametro anche superiore a 40 cm).
Alcuni presentano punte arrotondate attorno ad un anello centrale (graffioni a corona circolare); altri sono costituiti da ganci perpendicolari rispetto ad una barra trasversale (graffioni a barra trasversale). Tali oggetti sono caratterizzati da immanicatura cava che doveva servire per l’inserimento di un asta lignea anche al fine di infiggere il graffione nel terreno.
In passato si era ipotizzato trattarsi di ganci/forchettoni per cuocere/prendere la carne sul fuoco per uso cultuale.
Secondo l’interpretazione attualmente prevalente dovevano essere strumenti per l’illuminazione artificiale, ottenuta tramite una corda che, attorcigliata agli uncini, veniva imbevuta di materiale combustibile. Tale lettura sembrerebbe confermata dalle fonti (Servio; Elio Donato), ma anche da uno specchio etrusco da Civita Castellana (al Metropolitan Museum di New York), della seconda metà del IV secolo a.C., dove, accanto agli sposi Admeto e Alcesti, è raffigurato un personaggio con un graffione in mano con corda attorcigliata nell’atto di prendere fuoco.
Tali strumenti, databili tra il V ed IV secolo a.C., sono stati sovente rinvenuti nel corredo di tombe etrusche. Nelle necropoli di Spina alcuni graffioni sono stati rinvenuti ai lati del defunto, vicino alle mani o sopra la testa.

Immagini: Graffioni esposti nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze nel Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria di Perugia e nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia di Roma e disegno dello specchio da Civita Castellana.

Sui graffioni cfr., tra l’altro:
Tesori dalle Terre d’Etruria La Collezione dei Conti Passerini, Patrizi di Firenze e Cortona, Sillabe, 2020, pagg. 231 -233

Autore: Michele Zazzi – michele.zazzi@alice.it