Tutti gli articoli di Feliciano Della Mora

Michele Santulli. L’on. Sgarbi, il brigante ciociaro.

Charles de Chatillon (1777-1844) è stato un pittore del periodo Impero, l’epoca di Napoleone il Grande e per molti anni amico e protetto di Luciano Bonaparte, fratello del Grande.
E l’occhio sopraffino di Vittorio Sgarbi nell’esaminare una rara collezione di opere raccolte da un collezionista ciociaro notò lo splendido quadruccio del 1827 di Chatillon raffigurante un magnifico ritratto del ‘brigante’ De Cesaris, da Sonnino, che ha ispirato il costume ciociaro da lui indossato.
Il Gonfalone di Arpino è una manifestazione che si ripete con vivacità da molti anni tra le varie contrade della città: si tratta di gare e competizioni di carattere eminentemente popolare, viste e ripetute in tutte le sagre e fiere analoghe.
Ad Arpino la peculiarità della manifestazione è lo spirito agonistico quasi campanilistico che anima le varie contrade, un palio vero e proprio e, degno del più grande plauso, tutti i partecipanti indossano il costume ciociaro come tramandato nella città e che le varie contrade fanno rivivere e promuovono folkloricamente.
E l’On. Sgarbi, neo sindaco di Arpino, pur se in contesti che certamente non attengono a Caravaggio o a Raffaello, ha intuito il valore non solo meramente folklorico della iniziativa: in effetti presentandosi al pubblico con addosso l’abito del brigante De Cesaris quale ritratto dal nostro pittore ha voluto dare la propria impronta alla salvaguardia e promozione del connotato ciociaro del Gonfalone, connotato che è ben altro che solo folklore.
Infatti il costume ciociaro nell’ambito della pittura dell’Ottocento è stato il soggetto più amato e più illustrato dalla gran parte degli artisti europei, anche dai titani dell’epoca quali Corot, Cézanne, Manet, Van Gogh, Picasso, Sargent, Leighton…una apoteosi unica, perciò presente in quasi tutti i musei del pianeta, come nessun altro soggetto specifico: eppure, incredibile a ribadirlo, ancora senza nome, sconosciuto, anonimo, anzi di nomi e appellazioni anche troppi, dieci, venti…ma nessuno il solo pertinente di: ciociaro!
Perciò la pubblica apparizione  dell’On Sgarbi nei panni del  ‘brigante’  di Chatillon, con orgoglio e senza esibizionismo, è pari, e non vado oltre il significato delle parole, a una rivoluzione: non solo perché mai fino ad oggi un politico, figuriamoci un sottosegretario della Repubblica, ha indossato il costume ciociaro ma perché, pur se con grande ritardo lo Stato, grazie appunto alla sensibilità e formazione dell’On Sgarbi che lo rappresenta, ha preso coscienza di questo capitolo fondamentale dell’Arte Occidentale, così ignorato e anche vilipeso nella sua patria d’origine.
Alla luce della collezione, unica nel genere, da lui più volte esaminata e anche  della bibliografia a lui sottoposta, l’On. Sgarbi ha riconosciuto  e compreso,  senza condizionamenti esteriori,  l’alto  significato implicito nel tema e sicuramente porterà avanti la promozione e riscoperta  della rilevanza del costume ciociaro: è vero, il ritardo perfino macroscopico, basti rammentare che già nella metà del 1800, all’epoca  delle guerre di indipendenza, il grande Daumier, nel quotidiano  ‘Charivari’ identificava l’Italia che si risvegliava alla lotta dal suo torpore secolare non con Cavour o Garibaldi bensì con un brigante ciociaro! Oppure,  quasi cinquant’anni dopo,  alla Bourse de Commerce di Parigi, quell’istituzione commerciale di valore internazionale che ancora oggi si ammira nel centro cittadino ridata a nuova vita dall’imprenditore Pinault, ebbene alla fine del 1800 come si nota sull’immenso  affresco che scorre sotto la cupola, tra i continenti  dipinti a ricordo  che avevano rapporti di affari con la Francia, il continente Europa tra navigli, facchini, mercanzie, ecc. era, ed è, impersonato in primo piano da una coppia di ciociari! A conferma paradigmatica, secondo la Francia, già a quell’epoca! della valenza pari a lingua franca addirittura internazionale del costume ciociaro, come per oltre cento anni avevano già documentato gli artisti europei.
La essenza del costume ciociaro, come ha già ben visto la Francia da duecento anni, è culturale e anche identitaria perché patrimonio universale e allo stesso tempo identitaria dell’Europa, come nessun altro!
E L’On. Sgarbi, pur figlio di Ferrara e degli Estensi e del Rinascimento, ha intuito la valenza non solo cosmopolita del costume ciociaro e indossando la vestitura del brigante di Sonnino, con un chiaro richiamo anche alla dimensione  territoriale storica  di Ciociaria  ne ha voluto confermare il multiforme significato artistico e culturale nonché prevederne perfino la titolarità a emblema e simbolo dell’Italia: in effetti per tanti artisti fu naturale le loro donne ciociare intitolarle: L’Italiana, così Manet, così Van Gogh, così Picasso,  così tanti altri. E a ulteriore conferma della titolarità del costume ciociaro a simbolo e marchio dell’Italia, e non solo dell’Europa come per la Francia, oggi per la prima volta riconfermata grazie all’On. Sgarbi, si vuole ricordare che dopo il  fatale 20 settembre 1870  la stampa mondiale  riportava più o meno la medesima illustrazione commemorativa: una bella signora con la corona in testa, l’Italia, che con una mano salutava il soldato bersagliere liberatore di Roma e con l’altra  il popolo liberato rappresentato da un ciociaro, cioè il contrassegno  della Roma papalina dell’epoca, come ricordò anche Carducci nella famosa lirica e prima di lui Pio IX nella Stanza dell’Immacolata nei Musei Vaticani. E, ancora, nei Musei risorgimentali, in tutti i dipinti che illustrano l’Italia che abbraccia le regioni liberate, gli abiti indossati da tutte sono quelli ciociari, a sottolinearne dunque già all’epoca, fatto nuovo!  che la connotazione ‘nazionale’  per così dire quasi trascende e annulla quella  originaria di  ciociara!

Autore: Michele Santulli – michele@santulli.eu

Anna Marinetti. Il Venetico.

Il venetico è una lingua indeuropea, attestata da oltre 500 iscrizioni datate dal VI al I sec. a.C. e provenienti soprattutto dall’attuale regione italiana del Veneto (in pochi casi, dal Friuli Venezia-Giulia, dall’Austria e dalla Slovenia).
La scrittura utilizzata è un alfabeto locale di derivazione etrusca.
Le iscrizioni venetiche comprendono testi funerari, votivi e pubblici, resi — tranne alcune eccezioni — mediante schemi formulari. Ampiamente documentata è l’onomastica (nomi personali; formula onomastica maschile e femminile).
Le strutture della lingua (fonologia, morfologia, sintassi e lessico), data la natura frammentaria del venetico, sono conosciute solo parzialmente; permangono problemi relativi alla classificazione, anche se è ormai accertata l’appartenenza al ramo italico dell’indeuropeo.

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Autore: Anna Marinetti – Dipartimento di Studi Umanistici, Università Ca’ Foscari Venezia – inda@unive.it

Leggi anche: Culti del Veneto preromano, di Anna Marinetti

Vedi anche video: Lingue e scritture dell’Italia preromana – Il Venetico, vai a >>>>>>>>

Francesca Bianchi. Alla scoperta dei tesori archeologici di Arzachena.

Accompagnata dall’archeologa Silvia Ricci, il mese scorso ho visitato i siti del Parco archeologico di Arzachena: la necropoli neolitica di Li Muri, il sito più antico visitabile nel territorio di Arzachena, nonché una delle più antiche testimonianze del megalitismo europeo; le monumentali tombe di giganti di Li Lolghi e Coddu ‘Ecchju, la cui grandiosità fa pensare che fossero non solo luoghi di culto in onore degli antenati, ma anche simboli di potere e di controllo del territorio; il complesso nuragico di La Prisgiona; il nuraghe Albucciu; la tomba di giganti Moru; il tempietto nuragico di Malchittu…

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Autore: Francesca Bianchi – francesca-bianchi2011@hotmail.com

Giorgio Manganello. VELLETRI IN ETA’ ARCAICA (II parte).

Le tracce evidenti, nelle lastre architettoniche della serie Veio – Roma – Velletri, di un “matrimonio sacro” tra un re (Lucio Tarquinio) e una dea protettrice, fecondatrice e “facitrice di re” (come viene chiamata da A. Carandini), ovvero la dea Fortuna – Mater Matuta, identificata in terra, da parte di re Tarquinio, con la regina Tanaquil si possono vedere chiaramente nella scena della “processione nuziale” I e nella “processione nuziale” II.
La dea Fortuna – Mater Matuta, “infatti sarà amata dal re Servio Tullio, successore di Tarquinio Prisco” (A. Carandini – op.cit. – pag.36). Ma la dea Fortuna – Mater Matuta sarà amata e venerata anche da Tarquinio il Superbo, perché opportunamente si prestava a proteggere personalità forti e ambiziose come appunto Lucio Tarquinio. Questo fa pensare, ad esempio, alla vittoria di Tarquinio nello scontro con i Volsci, avvenuto a Velletri tra il 540 ed il 530 a.C. circa…

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Autore: Giorgio Manganello – CENTRO STUDI STORICO-ARCHEOLOGICI “ORESTE NARDINI” – Velletri (Roma) – giorgiomanganello6@gmail.com