Mario Zaniboni. Voghiera (Fe).

Nel XV secolo, Niccolò III d’Este, l’ultimo marchese di Ferrara, perché i signori successivi, a partire da Borso, divennero duchi, contrariamente a quanto si faceva da altre parti, dove si costruivano castelli, rocche, bastioni, insomma strutture adibite alla difesa ad oltranza, ebbe la luminosa idea di farsi costruire una regale residenza in campagna, dove spostare l’intera corte all’arrivo dell’estate, per godere di un clima migliore di quello presente nella città, soffocata dal caldo afoso ed opprimente del clima continentale.
Fu la prima residenza estiva di una signoria organizzata come corte in tutta l’Europa, che fu apprezzata e quindi (ma solamente dopo un paio di secoli) imitata da tante famiglie nobiliari e di governo.
Pare che nella progettazione ci sia stato anche lo zampino di Brunelleschi, ritenuto il primo architetto e progettista dell’età moderna. Nel 1435 iniziarono i lavori, che furono ultimati nel 1437.
Naturalmente, nel corso dei secoli, ci furono interventi atti a portare ampliamenti e miglioramenti secondo i desideri di Borso, Ercole e Alfonso, i duchi estensi, che si susseguirono.
Definire quella dimora, costruita a Voghiera, località posta ad una quindicina di chilometri dalla città in direzione sudorientale, una reggia non è un’esagerazione, tanto che qualcuno la chiamò la “Versailles degli Estensi”, senza tener conto, però, del fatto che Versailles nacque tre secoli dopo; pertanto, se si vuole fare del campanilismo, si potrebbe dire che, al contrario, fu Versailles a essere la “Delizia di Belriguardo francese”; però, sia ben inteso che non si vuole dire che Belriguardo fosse superiore a Versailles, ma aveva comunque buone frecce all’arco.
Quella residenza fu la prima di tutte quelle edificate successivamente, con funzioni diverse, che alla fine furono 53. Tutte queste sedi, alcune entro le mura e le restanti sparse per la campagna ferrarese, entrarono nella storia con il nome di “Delizie Estensi”, a significare che, oltreché di lavoro, erano luoghi di divertimento, di convegni, di riposo e di tranquillità. Però, alcune avevano funzioni ben precise, essendo punti di controllo delle attività che portavano ricchezza al feudo: fra queste, le più importanti erano la produzione del riso del delta del Po, l’allevamento delle bufale importate dall’Italia meridionale, la pesca delle anguille nelle valli di Comacchio, la coltivazione delle saline lungo la costa adriatica comacchiese; e, ancora, non mancarono i casini di caccia, dove i nobili potevano rilassarsi, preparando trappole o procurando cacciagione in altro modo.
La conduzione della residenza di Voghiera, chiamata “Delizia di Belriguardo”, per poter accogliere l’intera corte per metà dell’anno, doveva avere stuoli di lavoratori fissi, per poter soddisfare le esigenze delle centinaia di persone (nobili, funzionari, ambasciatori, militari) che quotidianamente erano presenti. Importantissimi erano gli artigiani ed i contadini, che dovevano provvedere al soddisfacimento delle necessità legate alla preparazione dei ricchi banchetti, di cui lo scalco Cristoforo da Messibugo ha lasciato memoria nel suo libro di ricette “Banchetti composizione di vivande e apparecchio generale”, dove è riportato tutto quanto serve per preparare un lussuoso banchetto, dagli attrezzi della cucina all’arredamento e, naturalmente, tante ricette dettagliatamente descritte, pubblicato postumo nel 1549. Del resto, si racconta che quel complesso fosse addirittura in grado di ospitare tre corti al completo nelle 200 camere da letto e che le scuderie potessero accogliere e custodire 800 cavalli.
E, invero, la Delizia di Belriguardo, oltre che essere la residenza estiva dell’intera corte, in quel periodo funzionava a pieno ritmo, come la corte centrale, con la presenza di funzionari e ambasciatori di altri stati per incontri, per accordi e per tutto quanto fa parte del meccanismo di uno stato. E c’è da dire che, se l’intenzione dei duchi era quello di sorprendere i forestieri, la risposta non può che essere affermativa, perché a nessuno veniva il sospetto di trovare tanta magnificenza in aperta campagna.
E, inoltre, era frequentata da artisti, letterati, che godevano del mecenatismo, una dote peculiare dei signori della corte estense. Fu una dimora amata da Torquato Tasso, da Ludovico Ariosto, dallo scrittore e poeta Giovanni Battista Guarini, dal letterato Alberto Lollio, dallo scrittore Sabadino Degli Arienti, tanto per citarne alcuni.
Il complesso riceve il forestiero mostrando un grande torrione, spezzato a metà altezza da una balaustra e terminante in sommità con l’insegna del Casato, sostenuta da due angeli. L’ingresso, abbastanza stretto e sormontato da un arco romanico, porta nel primo cortile, sul quale si sviluppano tre porticati; a questo segue il secondo cortile, che ha porticati su tutti e quattro i lati.
Il terreno, sapientemente occupato dagli edifici e dai grandi giardini definiti “all’italiana” (di cui fu uno dei primi esempi), arricchiti da fontane, ponticelli sopra corsi d’acqua con acque provenienti dal fiume Sandolo (a suo tempo il ramo principale del fiume Po ed una delle vie principali per Ravenna, ora interrato), fatte ivi confluire attraverso chiuse e altri sistemi idraulici, piante esotiche, siepi organicamente distribuite, ha una superficie non inferiore ai 40 ettari. Un piccolo Eden da godere da parte dei cortigiani ed a disposizione degli ospiti.
Il fabbricato principale è quello posto di fronte al torrione, con finestre in stile gotico, un tempo su due piani; oltre ai porticati, era (il passato è d’obbligo, perché tante cose sono andate distrutte) arricchito da logge, mentre le murature, rifinite ad intonaco, erano affrescate. Le pareti delle decine di ambienti sono state dipinte dai pittori più famosi per quell’epoca e di quell’area, vale a dire da Cosmè Tura, Antonio di Puccio Pisano, detto “Pisanello”, Ercole de Roberti e, dopo il 1537, da Dosso e Battista Dossi, Camillo Filippi, Girolamo da Carpi, Benvenuto Tisi da Garofalo, Giacomo da Ferrara.
Fra i personaggi illustri che goderono di quella Delizia si può ricordare Ludovico Sforza o Ludovico il Moro, futuro duca di Milano, che, nel 1493, sollecitò la moglie Beatrice d’Este, che si trovava a Venezia, a raggiungerlo per apprezzare l’accoglienza di quella reggia. E fonti riportano che il principe Francesco Gonzaga di Mantova amava nuotare nella peschiera escavata di fronte alla torre d’ingresso.
Nel 1598, il ducato di Ferrara, Modena e Reggio, a causa della mancanza di un erede legittimo del casato degli Este, fu spezzato in due tronconi: infatti, l’impero concesse a Modena e Reggio di rimanere sotto il controllo degli Estensi, mentre il papa Clemente VII non ebbe nessuna esitazione, riprendendo Ferrara sotto il dominio della Chiesa di Roma. Si avviò, così, quel disastroso periodo tutto da dimenticare, che i Ferraresi denominarono “dei secoli bui”, malamente vissuto dalla popolazione fino all’invasione austriaca, che ridiede un po’ di dignità alla città umiliata e dimenticata ai margini dello Stato del Vaticano. Praticamente, fu fatto di tutto per distruggere e mandare a catafascio quanto per tre secoli gli Estensi avevano faticosamente fatto per accrescere la produttività del loro territorio con la regolamentazione dei corsi d’acqua, il risanamento e prosciugamento, nei limiti del possibile, delle aree paludose, dominio incontrastato delle zanzare, l’innalzamento degli argini del Po, per limitarne le alluvioni, l’allevamento del bestiame e, in tal modo, per garantire alle loro genti un eccellente benessere.
E come tutto quanto riguardava il ducato, anche Belriguardo subì le conseguenze di quel disastroso cambiamento. Infatti, la Delizia fu ceduta per enfiteusi ai proprietari terrieri della zona, che non ci pensarono due volte nell’utilizzarne le preziose sale come stalle e depositi di grano, con il risultato che ci si può immaginare; gli spazi rimasti disponibili furono occupati dalle famiglie, dando luogo – se si vuole – a un grande “condominio” ante litteram. E tutto ciò che era asportabile, fu tristemente svenduto o buttato. Una parte del territorio è ora occupato da case adibite ad abitazione.
Molte parti della struttura finirono demolite o malamente trattate; di tutto quel complesso principesco restano sei finestre gotiche della fine del secolo XV e la rettangolare “Sala delle Vigne” a dimostrare di che cosa si trattasse prima della devoluzione del 1598. Questa fu affrescata nel 1537 da Girolamo da Carpi con la collaborazione dei fratelli Dosso e Battista Dossi e di Benvenuto Tisi da Garofalo con dipinti riportanti tralci, foglie e grappoli d’uva.
Nel 1974, si decise di intervenire, eliminando lo sconcio che si era accumulato attorno a quanto restava della passata magnificenza del luogo, recuperandolo, per quanto fu possibile, e rendendolo godibile da parte del pubblico; ed una parte della struttura fu dedicata a museo, dove sono stati raccolti i reperti trovati nelle ricerche fatte nella necropoli romana di Voghenza e dintorni.
Il turista che giunge qui, dunque sappia che anche Voghenza può essere di interesse.

Ah, stavo per dimenticare: Voghiera, oltre che essere la sede di ciò che, purtroppo, rimane della Delizia, è importante anche per l’amatore della buona e gustosa tavola, essendo la sede di produzione dell’Aglio di Voghiera DOP, considerato “raffinato e mai pungente e tale da rendere ogni piatto speciale”.

Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it

Pier Luigi Guiducci. Storia della Chiesa. La missione di Pietro e Paolo.

Il distacco progressivo e irreversibile della Chiesa primitiva dal suo ambiente originario, l’Ebraismo, è raffigurato in modo emblematico dalle figure principali degli apostoli: Pietro e Paolo.
Il primo si va «convertendo» alla missione tra i pagani sotto la spinta degli avvenimenti e delle lezioni della storia. Il secondo, in misura maggiore, è scelto direttamente da Dio per proclamare nel mondo il messaggio dell’universalismo cristiano e diventa, per eccellenza, l’apostolo dei Gentili. …

Leggi tutto nell’allegato: STORIA DELLA CHIESA. Pietro e Paolo

Autore: Pier Luigi Guiducci – plguiducci@yahoo.it

Sandrino Luigi Marra, Antonio Mario Napoletano, Alessandra Artuso, Nuove prospettive interpretative iconografiche ed antropologiche dalla grotta di San Michele Arcangelo a Curti di Gioia Sannitica (Caserta).

Nuove prospettive sono affiorate dallo studio delle iconografie della grotta di San Michele Arcangelo a Curti di Gioia Sannitica e sulla interpretazione ed il significato dell’annunciazione rispetto alla conformazione del luogo stesso. …

Leggi l’articolo allegato: Grotta san Michele arcangelo a Curti

Autori:
Sandrino Luigi Marra – sandrinoluigi.marra@unipr.it, Antonio Mario Napoletano, Alessandra Artuso

Gennaro D’Orio. La stazione Zoologica Dohrn si fa onore, studio sugli squali bianchi (e non solo)!

Onore al merito e tanto orgoglio per la città di Napoli. Ecco un’altra testimonianza tangibile, grazie all’impegno ancora una volta dimostrato da uno tra i più importanti Enti, che opera nel Sud dal 1872 (anno di fondazione), in materia di ricerca e formazione.
Parliamo della partecipazione, in uno con l’Università Politecnica delle Marche, della Stazione Zoologica Anton Dohrn (SZN), sede in Villa Comunale a Napoli, ad un nuovo studio, appena pubblicato su Frontiers in Marine Science, circa la presenza nel Mediterraneo degli squali bianchi, i più grandi pesci predatori del pianeta.
I risultati presentati mostrano l’esito di tre anni di spedizioni (guidate dall’italiano Francesco Ferreti, della statunitense Virginia Tecvh), dal 2021 al 2023, nel Canale di Sicilia un’area considerata una delle ultime roccaforti rimaste per la presenza dello squalo bianco nel Mar Mediterraneo.
Questa specie iconica, nonostante sia uno dei predatori marini più studiati e carismatici, è considerata in pericolo critico nella regione “sos internazionale”. Il progetto, guidato dalla Virginia Tech University, è frutto di un’importante collaborazione scientifica che vede la partecipazione di dette istituzioni scientifiche.
La White Shark Chase, letteralmente “all’inseguimento dello squalo bianco”, ha lo scopo, si legge, di monitorare con un approccio altamente multidisciplinare gli squali bianchi presenti nel Mare Nostrum. Infatti, i ricercatori hanno impiegato diverse tecniche d’indagine, dai marcatori satellitari (tag), all’uso di telecamere munite di esca, posizionate fino a 500 m di profondità, dai droni alla raccolta di campioni d’acqua per identificare la presenza di questi animali tramite il loro “DNA ambientale”, disperso in acqua.
Il team internazionale ha così potuto scandagliare diverse aree del Canale di Sicilia, dalle Isole Egadi, a Malta, alle acque tunisine. Sebbene non sia stato ancora possibile avvistare uno squalo bianco, l’analisi di detto DNA ha confermato la presenza di questi animali (purtroppo a rischio estinzione!), in diverse aree, in un raggio di circa 25 chilometri dal luogo di raccolta del campione.
Tra i membri delle spedizioni scientifiche, vi sono Stefano Moro, ricercatore Post-Dottorato della Stazione Zoologica, e Chiara Gambardella, dottoranda presso la Stazione Zoologica Anton Dohrn (Sicily Marine Center), e l’Università Politecnica delle Marche. Attualmente, il team sta pianificando ulteriori spedizioni nel Canale di Sicilia ed in altre aree del Mediterraneo, con l’obiettivo di continuare a raccogliere informazioni su questa specie iconica e cercare di evitarne la scomparsa dai nostri mari.
“Abbiamo deciso di accettare la sfida e trovare gli ultimi squali bianchi rimasti nel Mediterraneo. Non è stato facile”, afferma Ferretti. “Questi animali si cibano prevalentemente di tonni e pesci piccoli, una cosa che quasi ribalta la nostra comprensione degli squali”, afferma Taylor Chapple dell’Università dell’Oregon, coautore dello studio. Questa dieta permette a questi animali, che pesano un paio di tonnellate, di sopravvivere grazie a risorse davvero sorprendenti: le foche, di cui spesso si nutrono gli squali bianchi, sono molto più grasse rispetto ai tonni, eppure questi ultimi gli permettono comunque di raggiungere quelle dimensioni”.
Gli sforzi hanno ripagato quando, in cinque occasioni, sono state individuate tracce soprattutto nella parte meridionale del Canale di Sicilia.
“Quest’area subisce molto l’impatto delle attività di pesca, aggiunge Ferretti, ed è qui che ora stiamo concentrando i nostri sforzi: queste prime spedizioni pilota ci hanno infatti permesso di ricalibrarci in vista di un progetto più ampio e hanno fornito preziose informazioni su dove concentrare gli impegni futuri”.
Intanto, il gruppo sta ora pianificando e raccogliendo i fondi per nuove spedizioni, sia nel Canale di Sicilia che in altre zone del Mediterraneo.
“Sappiamo che lì c’è un punto caldo, conclude il ricercatore italiano, ma potrebbero esserci anche altre aree importanti nel Mediterraneo orientale, che forse ospitano habitat critici come una nursery di squali bianchi”.
Tornando alla Stazione Zoologica – Aquarium Fondazione Dohrn, di Napoli, tra i più importanti Istituti di ricerca avanzata nei settori della biologia marina e dell’ecologia marina integrata, essa promuove studi ed indagini anche nell’ambito dell’evoluzione degli organismi marini, nella formazione dei giovani ricercatori (una sua parte essenziale!), nelle biotecnologie ecosostenibili, per possibili applicazioni dei prodotti naturali marini nei settori biomedico e ambientale.
Dunque una vera perla di laboratori, idee, progetti “sul campo”, che costituiscono lo “spirito” portante di una struttura dove, tra gli altri, hanno operato attivamente bel 19 “premi Nobel”, dando significativo impulso all’evoluzione delle scienze biologiche.

Autore: Gennaro D’Orio – doriogennaro@libero.it

 

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