Archivi categoria: Senza categoria

Mario Zaniboni. Abbazia di Pomposa, un “faro” nel delta del Po.

Andando da Codigoro, in provincia di Ferrara, verso il mare Adriatico, si vede elevarsi dalla monotona pianura padana un campanile, alto 48,5 metri, che da solo riempie tutto il panorama: é la parte principale dell’Abbazia di Pomposa, detta “del Delta del Po”, di cui si trova ai confini, che, dalla strada litoranea Romea, una delle maggiori vie di comunicazione dell’antichità, che unisce Chioggia a Ravenna, e che nel Medioevo era percorsa dai pellegrini diretti e Roma, dà il suo benvenuto al forestiero.
Questa è situata ad una cinquantina di chilometri da Ferrara e ad una ventina, verso nord, da Comacchio. E la sua vista rende interessante una pianura ben coltivata, ma che non avrebbe nulla da mostrare di diverso dal solito.
L’Abbazia si trova su quella che nell’antichità era chiamata l'”Insula Pomposiana”, essendo, allora, circondata dal Po di Goro, dal Po di Volano e dal Mare Adriatico.
Delle origini di questa Abbazia, purtroppo, non si sa molto. Si può solamente dire, dal poco che si ha a disposizione, che verso il IX secolo in quel luogo ne esisteva un’altra, ma di dimensioni inferiori: questa notizia si ritrova in un frammento della lettera, datata 874, inviata all’imperatore Ludovico II dal papa Giovanni VIII.
La sua autonomia decadde quando, nel 981, finì sotto la dipendenza del monastero di San Salvatore di Pavia, per finire, nel 1009, sotto la giurisdizione dell’arcidiocesi di Ravenna, guidata dall’abate ed arcivescovo Gerberto di Aurillac di Bobbio.
Più tardi, riuscì a liberarsi da quella servitù e, grazie alle donazioni di fedeli, divenne un centro culturale di tutto rispetto.
Nel 1026, l’abbazia fu consacrata dall’abate Guido. E fu in quel periodo che mastro Mazulo intervenne con la costruzione di un nartece, cioè di un vestibolo, a tre grandi arcate.
Nel periodo del suo massimo splendore, Pomposa favorì la conservazione e lo sviluppo della cultura, che ebbe, fra l’altro, il contributo della presenza del monaco Guido d’Arezzo, che mise a punto le note musicali; purtroppo entrò in disaccordo con i confratelli benedettini che in pratica lo costrinsero a togliersi dai piedi, cosa che lui fece, ritirandosi ad Arezzo, presso il vescovo Teodaldo.
Fra i personaggi illustri, che furono presenti a Pomposa, emerge la figura del teologo, vescovo e cardinale Pier Damiani, che vi visse dal 1040 al 1042.
L’Abbazia era fiorente, con la coltivazione dei terreni, con lo sfruttamento di una delle saline di Comacchio, con i suoi rapporti con altre entità politico-religiose italiane e con donazioni; ma tale stato durò fino al XIV secolo, perché nel frattempo era avvenuto un peggioramento nelle condizioni del suolo, nel quale l’impaludamento, sicuramente una delle conseguenze della famosa rotta del Po di Ficarolo del 1152, che causò la deviazione dal suo vecchio tracciato (che passava a sud di Ferrara rendendola ricca) direttamente verso il Mare Adriatico; e, a complicare la situazione, ci fu la formazione di incontrollati bacini di acqua non sempre corrente, dove proliferavano le zanzare, involontarie portatrici delle terribile malaria, che la faceva da padrona.
Nel 1653, il papa Innocenzo X soppresse l’Abbazia come monastero e, non interessando più il papato, nel 1802, fu venduta alla famiglia Guiccioli di Ravenna, che la cedette allo Stato Italiano alla fine del 1800.
Il 18 maggio 1965 ci fu l’intervento del papa Paolo VI, che concesse il titolo di abate di Pomposa ai vescovi di Ravenna, con la bolla Pomposiana Abbatia, titolo che, nel 1986, fu trasferito agli arcivescovi di Ferrara-Comacchio. E dal 2014, Pomposa è passata sotto la gestione del Ministero dei Beni Culturali attraverso il Polo Museale della Regione Emilia-Romagna.

Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it

Pierluigi Guiducci. Shoah a Roma. 16 ottobre 1943. Salvare gli Ebrei.

20 anni di ricerche, evidenze, Pio XII. P. Peter Gumpel SI. L’apertura degli archivi.
La vicenda tragica del 16 ottobre del 1943, riguardante la razzìa degli Ebrei romani da parte di forze tedesche, e il trasporto successivo
nel lager di Auschwitz-Birkenau, è stata affrontata in molteplicioccasioni: convegni, mostre, libri, saggi e film.
Al riguardo, colpisce il fatto che rimangono diversi dettagli che ancora continuano a emergere attraverso più iniziative. Un contributo
chiave rimane quello offerto da coloro che furono testimoni del rastrellamento e che riuscirono a salvarsi. Altro notevole apporto
proviene dagli Ebrei che ritornarono dai lager (un numero purtroppomolto esiguo; oggi deceduti)…

Leggi tutto nell’allegato: Shoah a Roma

Info:
EDUCatt, Milano 2023
www.educatt.it/libri
isbn: 979-12-5535-067-5
isbn digitale: 979-12-5535-068-2

Autore:
Pierluigi Guiducci – plguiducci@yahoo.it

Michele Santulli. Un grande scultore americano e la Ciociaria.

Come ormai ben noto ai milioni di cultori che ogni giorno entrano nei musei in tutto il pianeta, l’uomo o la donna o altro soggetto in costume ciociaro rappresentano una immagine classica e consolidata nel panorama dell’arte occidentale del 1800. Una nota negativa, allo stesso tempo non onorevole, sotto certi aspetti, afferenti ovviamente non i visitatori, è il fatto che tali soggetti pur dunque universalmente ammirati e celebrati, siano senza nome, anonimi! E le connotazioni le più varie quali italiano, regionale, tradizionale, napoletano, abruzzese, romano, zingaro, savoiardo, basco, ecc. vengono impiegate per connotarli: non esiste un soggetto tanto conosciuto e allo stesso tempo così ignorato. E la cosa è particolarmente imbarazzante, alla costatazione che detti soggetti non solamente sono stati dipinti o scolpiti dalla gran parte degli artisti europei dell’epoca come nessun altro soggetto specifico, fatto di per sé straordinario ed unico, quanto sono stati letteralmente immortalati anche dai titani dell’arte di quel secolo, tanto per citarne qualcuno: Degas, Corot, Manet, Cézanne, Van Gogh, Picasso, Severini, Leighton, Sargent, Whistler, Briullov….
Non esiste un altro soggetto nemmeno lontanamente che abbia attratto questi giganti dell’arte! E avviene che la lista dei grandi artisti cultori del personaggio ciociaro, pur se raramente, tende ad ingrossarsi con nuove scoperte: si ricorderà che qualche tempo addietro abbiamo fatto la conoscenza di un’opera ciociara dipinta da uno di questi grandi maestri della pittura e del disegno del milleottocento, di Honoré Daumier, incontestabilmente il maggiore illustratore e vignettista ed anche notevole scultore e pittore dell’epoca. E alla metà del secolo, rigurgitante per la prima volta di moti e sommosse indipendentisti in tutta Europa, anche Daumier, sensibile ed attento quale era, non potette ignorare tale realtà e volle pensare all’Italia: avendo in mente la famosa immagine di Gulliver, il gigante tenuto legato e assaltato da tanti ometti, immaginò anche l’Italia nelle vesti di questo gigante che si svegliava -Le Réveil d’Italie- circondato da tanti soldatini che combattono tutto intorno contro il nemico: e questo gigante, personificazione dell’Italia che si svegliava alla lotta, non era come, si potrebbe pensare, Cavour o Mazzini o Garibaldi; era un ciociaro! cioè l’artista ritenne che il risveglio dell’Italia alla lotta per la sua indipendenza fosse più lucidamente e congruamente illustrato da un italiano tipico e veramente conosciuto, e non solo in Francia, da un ciociaro dunque, piuttosto che da qualche paludato uomo politico.
Si ricordi che in effetti questa umanità, per necessità nomade e girovaga, di artisti ambulanti quali il pifferaro, lo zampognaro, la ballerina col tamburello, erano uno spettacolo consueto per le vie dell’Europa.
Un secondo significativo artista ad occuparsi di queste creature della Ciociaria presenti per le vie del mondo fu uno scultore americano del 1800 tra i più conosciuti, vissuto lungamente a Firenze, Larkin G. Mead (1835-1910). E tra le sue opere, in gran parte pubblici monumenti in America, è stato individuato a parer mio un vero raro suo capolavoro e cioè una ciociara in grandezza naturale in terracotta, in costume, splendida a guardarsi, proprietà, purtroppo, di un privato collezionista: dico purtroppo non per sminuire la bontà e la passione del collezionista ma per il dispiacere che un’opera del genere non possa essere fatta oggetto di gratificazione e di acculturazione pubbliche da parte della gente comune!
E qui tocchiano un tema così delicato e grave che è opportuno non affrontare e che viene rimesso ai lettori di valutare. Non si conoscono le motivazioni e le eventuali occasioni alla base dell’interesse di Larkin G. Mead per questa ciociarella, pur ricordando che non pochi artisti fiorentini si erano occupati intensamente di tali soggetti ciociari quali Luigi Bechi, Vito d’Ancona, Telemaco Signorini stesso che se ne fece particolare promotore e anche Giovanni Fattori con ritratti di ciociare e numerose immagini all’acquaforte realizzate in occasione di un suo viaggio a Bauco oggi Boville Ernica: può darsi un sopraggiunto interesse alla vista di questa splendida ciociara oppure una commissione da parte di qualche cultore o collezionista, chissà. Certamente, è anche vero, che a Firenze non mancavano le evenienze per imbattersi, come ricordato più sopra, in questa umanità girovaga: pifferari, zampognari, ragazze col tamburello… numerose le occasioni a base dei loro spostamenti in tutto il Paese.

Autore: Michele Santulli – michele@santulli.eu

Didascalia immagine: Larkin G.M EAD: Ciociara, terracotta, h.1,72 m. Coll.priv.

Michele SANTULLI, Amleto Cataldi in Capitanata.

Amleto Cataldi (1882-1930) è scultore di Roma, nessun artista è rappresentato da tante opere quanto lui nei musei locali e nei palazzi istituzionali ed in giro per la città.  Ma è in una antica regione italiana che intendo guidare il lettore, in Capitanata, perché qui si trovano delle opere di Cataldi semplicemente mirabili  e generalmente sconosciute.

Leggi tutto nell’allegato: AMLETO CATALDI IN CAPITANATA

Autore: Michele Santulli – michele@santulli.eu