Gennaro D’Orio. Le Terme romane di via Terracina, un antico posto di ristoro e relax.

Riflettori sul panorama “in restyling” delle Terme romane di via Terracina 236, quasi attaccate agli studi della RAI – sede di Napoli, nel cuore dello storico quartiere Fuorigrotta.
Si è infatti conclusa sabato appena scorso, la serie di visite guidate “straordinarie” gratuite, al meraviglioso sito antico, dopo i due appuntamenti di sabato 9 e domenica 17 novembre, conclusisi con soddisfacente successo.
I Romani, si sa, amavano le terme. Ce ne erano di grandi e piccole, sparse qua e là: Roma, Ercolano, Pompei, Baia, Pozzuoli, Agnano…. Erano luoghi di ritrovo, ristrette agorà in cui parlare di tutto: affari, consigli, pettegolezzi… E per rinfrancarsi dalle fatiche di essere un civis romanus.
Così fu costruito questo complesso, alimentato dal fiume Serino come le altre grandi terme, anche se il calore era generato da stufe, come il complesso del Carminiello ai Mannesi nel cuore di Napoli, diversamente invece da quello di Agnano, alimentato da sorgenti sotterranee.
Le terme di via Terracina sono un unicum piccolo, rispetto ad esempio a quelle più a ovest nei Campi Flegrei. Erano un luogo di sosta, tra Napoli e Pozzuoli, quindi ben lontano dall’essere un hub sociale come altre spaziose aree termali.
Ecco, a questo punto, un salto fino al ‘600, in pieno viceregno spagnolo. L’architetto e archeologo Francesco Antonio Picchiatti, scavando le fondamenta, si imbattè in resti di epoca romana: tracce di mura dell’antica Neapolis e una porta rivolta verso Cuma: la Porta Cumana.
La necessità di erigere la guglia, anche per volere del viceré Gaspar Méndez de Hero, lo spinse a riseppellire tutto e a fare l’obelisco. Ma prima il Picchiatti aveva realizzato dei disegni dell’area, rinvenuti poi nel 1744 dall’architetto Nicola Carletti, che li considerò preziosissimi. Successivamente, l’apertura della cosiddetta Crypta neapolitana avrebbe evitato la difficile via “per colles”, sfiorando la costa per arrivare a Baia (via per Cryptam).
Le terme di via Terracina, trovandosi a mezza via tra Napoli e Pozzuoli, risultavano una sorta di “centro benessere” di quel tempo, per rinfrancarsi dal cammino, una inconsueta distinzione di genere con turni maschili e femminili. Le donne, meno assidue, vi erano ammesse ma, nel caso di via Terracina, ci si divideva: le prime, meno assidue di mattina, mentre gli uomini, più frequenti, di pomeriggio. Inoltre le donne, considerate “perle rare”, pagavano un biglietto più alto rispetto agli uomini, per i quali in antichità le terme erano una specie di “resort”, per chiacchierare di affari e ristorarsi dal lavoro. Due frigidarium, tre tepidarium ed un calidarium. Questi erano gli ambienti delle “terme romane” di via Terracina, oltre ad un’ampia sala d’ingresso, gli spogliatoi (apodyterium), le latrine e un solarium. I pavimenti, decorati a mosaico a tessere bianche e nere, rappresentavano diverse scene mitologiche con, a testimonianza nella sala d’ingresso, il “ratto della Nereide” da parte di Tritone, che la costringe al matrimonio, mentre nell’ambiente successivo le tessere nere si uniscono, a comporre sul pavimento strane raffigurazioni mitologiche: cavalli con coda di pesce, draghi, tori marini. Negli ambienti tiepidi e caldi, il civis romanus si ritemprava al tepore generato dal vapore, prodotto da un forno che scaldava l’acqua e che, fuoriuscendo, veniva incanalato in condotti che sfociavano nell’hypocaustum, una camera sotto il piano di calpestio. Tra l’hypocaustum vero e proprio, vi erano delle colonnine (suspensoria), che reggevano il pavimento reale e creavano un ambiente vuoto sotto i piedi, in quanto riscaldato dal basso, come pure ai lati in quanto la conduttura girava torno torno il complesso. La profondità dell’hypocaustum determinava la differenza tra tepidarium e calidarium: più basso nel primo, più profondo nell’altro; questo perché maggiore era il volume di circolazione dell’aria calda, più caldo era l’ambiente.
Intanto ecco una chicca o presunta tale: nelle Terme di via Terracina si sostava o ci si immergeva, ma non si praticava la natatio, sottolineando se vogliamo la scarsa capacità di nuoto dei “dominatori del mondo”.
Tra i mosaici del complesso ce n’è uno che, a guardarlo con attenzione, procura uno strano effetto: una delle figure ha tre gambe, due braccia diverse ed una mano con sei dita! Come è possibile? Fu tutta colpa di un idraulico del tempo che, per riparare una tubatura sotterranea, divelse i mosaici che, poi, furono riapplicati in modo assai maldestro, tale da spiegare la figura umana così anatomicamente strampalata.
Intanto, le Terme cessano l’attività nel IV secolo d.C., sia per il dissesto geopolitico causato dalle incursioni barbariche, sia perché l’avanzante Cristianesimo aveva sostituito le terme con le chiese, quali luoghi di ritrovo, forse perché i Romani avevano diversi valori morali ed un senso diverso del pudore, inconciliabile con la “damnatio corporis” propria del Cristianesimo.
Oggi il complesso archeologico di via Terracina ha quell’aspetto, in un certo qual modo marginale ma decoroso, proprio di tutte le testimonianze che attraversano il tempo, anche se sfigurate dal lungo volgere dei secoli.
Chi oggi è interessato a conoscerle più profondamente, si suggerisce, può rispolverare la seicentesca descrizione nella “Thermologia Aragonese”, di Sebastiano Bartoli che, nel 1679, fu incaricato dal vicerè Don Pedro Antonio de Aragona di enumerare le terme ed i balnea, sparsi nel cammino tra Napoli e Pozzuoli.
Riguardo all’apertura straordinaria ed alle più che recenti visite guidate, esse sono state svolte a cura della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, per il Comune di Napoli, in collaborazione con i volontari del Gruppo Archeologico Napoletano (GAN), impegnati da tempo per mantenere la visibilità, con l’effettuare continui interventi di pulizia e, dove possibile, di restauro.

Autore: Gennaro D’Orio – doriogennaro@libero.it