Laura TUSSI: La presenza dialogica. Il linguaggio delle esperienze condivise.

Il lavoro dell’educatore si esplica essenzialmente in un vissuto e in un vivere insieme al ragazzo che permettono alla stessa presenza dell’educatore di trasformarsi in un evento specifico di esperienza (anche nell’accezione di esperimento e pericolo) dell’altro.

La figura, il modo di mettersi in gioco, di agire, di comunicare dell’educatore costituiscono sempre elementi e fattori di formazione e di educazione, perché la sua figura influisce comunque sul processo di cambiamento formativo, per questo è necessario che l’educatore, rivivendo nella sua relazione con il ragazzo un ambito di formazione, controlli la sua influenza personale ed emotivo-affettiva perché essa si trasformi in un segno di esperienza dell’altro orientato a scopi formativi e rieducativi.

Le competenze valutative e di monitoraggio del proprio ruolo di fronte al ragazzo costituiscono modalità salienti delle capacità professionali dell’educatore, ossia abilità entropatiche, nella conoscenza delle tecniche riguardanti la creazione di esperienze e vissuti significativi, tramite versatilità nella gestione dei gruppi, competenza di organizzazione del contesto quotidiano e riappropriazione pedagogica dell’avventura.

Nella prospettiva di creazione di una relazione incentivante, l’educatore dovrà proporsi come punto di riferimento stabile e coerente nella vita quotidiana del giovane.

Molti ragazzi mostrano il desiderio della presenza di un adulto, di una persona, di un educatore che sappia e voglia prestare loro ascolto, un ascolto diretto, motivante e attivo che consideri le loro preoccupazioni, le ansie, le difficoltà, le loro diversità. La disponibilità dell’educatore si traduce in un complesso di atteggiamenti amichevoli in cui la predisposizione al sorriso, alla tranquillità, alla distensione psichica, si coniuga con la capacità di ascolto attivo con abilità exotopiche, osservazioni ecologiche, dialogicità polifoniche e polivalenti in un pluriverso di aspetti differenti.

L’atteggiamento pedagogico di disponibilità deve prevedere dei limiti oltre cui l’incoraggiamento e la comprensione rischiano di trasformarsi in una legittimazione non solo del comportamento del ragazzo, ma anche del modo di intendere il mondo e la realtà da cui hanno origine i suoi atteggiamenti. Occorre velare il proprio agito educativo con un alone di professionalità che consenta di indirizzare la disponibilità in un ambito di equilibrio tra simpatia e coinvolgimento empatico, nel limite pedagogico. La distanza pedagogica si costruisce nel momento in cui l’educatore investe se stesso del principio di realtà. Rappresentare per il giovane un’autentica “esperienza dell’altro” significa permettergli di sperimentare la disponibilità dell’altro ad accoglierlo e a comprenderlo, ponendolo di fronte alla realtà che la diversità nell’alterità è un vincolo da accettare e riconoscere. Presentandosi quale punto di riferimento autorevole, l’educatore si mostra garante di una stabilità di regole e norme che significano l’agire verso obiettivi, scopi, traguardi importanti per il ragazzo e vicendevolmente accettati e condivisi. Un ‘educatore autorevole evita totalmente la scontatezza della regola, la vacua autorità.

Se l’opinione altrui, la visione del mondo e la forma del pensiero dell’altro non diventano mera costrizione del vissuto e dell’agito personali, ma una linea di confine che oscilla in un’innovativa e maggiore potenzialità di pensiero e di azione, quando codesto limen è impersonificato da un “altro” che è anche sostegno, punto di riferimento stabile, allora risulta verosimile che la concezione del ragazzo sugli altri e sul mondo inizi a modificarsi, a cambiare.

Il linguaggio dell’autorevolezza

L’educatore può dimostrare la sua autorevolezza e disponibilità con il discorso del linguaggio delle cose concrete, una comunicazione del proprio modo di essere “altro” che transita attraverso le azioni, lo svolgersi degli eventi e