IL COMPLESSO AUGUSTEO SUL PALATINO

LA TESTIMONIANZA DELLE FONTI, I DATI DI SCAVO E LA STORIA DEGLI STUDI

Il complesso del Palatino è stato oggetto di recentissimi studi, che hanno tratto nuovo impulso soprattutto dagli ultimi scavi. Queste indagini, iniziate già nel secolo scorso, furono incitate dalla lettura delle numerosissime fonti storiche e letterarie che descrivevano la prima residenza imperiale sul colle. Sarà quindi utile prendere in esame queste testimonianze, prima di affrontare l’esame dei dati di scavo e di trarre le conclusioni più congrue sulla base del confronto di tutte le indicazioni che possediamo.

Molte fonti del I secolo e anche altre posteriori si riferiscono alla dimora sul Palatino in cui risiedeva Augusto. Velleio narra che Ottaviano, nel 36 a.C., di ritorno dalla battaglia di Nauloco, in cui sconfisse Sesto Pompeo, acquistò numerose case sul Palatino, al fine di ampliare la propria dimora ; fino ad allora infatti egli aveva vissuto con molta semplicità nelle modicas aedes Hortensianae, come dichiara Svetonio, dopo aver abitato iuxta forum, supra scalas Anularias. Ottaviano fece allora acquistare i terreni, in parte già edificati, nella zona sudoccidentale del colle, presso il tempio della Magna Mater. Tra i privilegi accordati ad Ottaviano in occasione del suo ritorno trionfale nel 36 a.C., il popolo romano decise di edificare per lui a spese pubbliche una casa sul terreno acquistato da Ottaviano e da lui dichiarato bene pubblico . Infatti un fulmine, caduto proprio in questa area dopo l’acquisto, fu interpretato come segno del volere di Apollo; Ottaviano fece erigere un tempio dedicato al dio suo protettore nel punto indicato dagli aruspici . Il tempio era in posizione elevata e scenografica, ben visibile – fulgente nel suo marmo lunense – dalla città, e racchiudeva preziose opere d’arte.

Nel 27 a.C. il Senato insignì Ottaviano del titolo di Augusto e decretò ad ornamento dell’ingresso della sua abitazione due lauri e la corona civica di foglie di quercia, che ci è nota da diversi conii monetali, con la iscrizione “ob ciues seruatos” al di sopra della porta; fu poi scolpito in vestibulo aedium l’epiteto di pater patriae, attribuito all’imperatore nel 2 a.C.

Secondo le fonti Augusto assegnò un carattere pubblico alla propria residenza. Già nel 36 a.C. aveva infatti promesso di destinarla publicis usibus; nel 12 a.C., morto Lepido, Augusto divenne pontefice massimo; donò quindi alle Vestali la vecchia domus publica e rese pubblica una parte della sua dimora, consacrandola a Vesta ; infatti egli, in quanto pontefice massimo, “viveva in una casa contemporaneamente privata e pubblica” ed era necessario che abitasse e)n koin%=. Nel 12 a.C. il Senato decretò la costruzione di un tempio a Vesta, dea del focolare, che simbolicamente proteggeva la domus per eccellenza, quella del Princeps e pontefice massimo . Augusto si trovava così ora a dividere la propria dimora con due divinità!

Infine, nel 3 d.C., l’imperatore proclamò la sua casa interamente di pubblico dominio. Infatti un incendio rovinoso aveva devastato la domus, nonché l’attiguo tempio della Magna Mater Cibele , e il popolo intervenne nuovamente per ricostruire la casa di Augusto; allora il Princeps cedette la propria dimora allo Stato, in quanto costruita nuovamente con il concorso dei cittadini.

Secondo la testimonianza delle fonti, i lavori per la casa e il tempio furono contemporanei e coprirono gli anni dal 36 al 28 a.C., quando il tempio fu inaugurato. Numerose erano dunque le testimonianze della tradizione letteraria che indussero a scavare sul colle. L’area compresa tra le Scalae Caci (la rampa di accesso al Palatino dal Velabro) e le biblioteche domizianee era stata indagata a partire dall’Ottocento, per volere dell’imperatore Napoleone III.L’architetto Pietro Rosa, tra il 1865 e il 1870, prese in esame il settore occidentale del Palatino e la parte più meridionale ; qui scavò soprattutto intorno al podio del tempio di Apollo, m

VIVE DE’ SUOI TRAVAGLI. DONNE, LAVORO E FAMIGLIA NELLA TORINO DI ANCIEN REGIME

Introduzione della tesi di in Storia economica, anno accademico 1999-2000, relatore professor Luciano Allegra

Oggetto di questa ricerca è il lavoro delle donne nella Torino di fine ancien régime.
Il lavoro delle donne come area di ricerca storica ha avuto, negli ultimi trent’anni, grande fortuna. Se è vero che “si fa sempre la storia del presente”, è ovvio leggere, nell’interesse storiografico per il rapporto tra donne, lavoro e famiglia, il riflesso di un secolo che “ha (..) scritto la storia dell’ingresso imponente delle donne nell’istruzione e nel lavoro dipendente” .

La bibliografia in merito è immensa, a partire dai classici anglosassoni di Alice Clark e Ivy Pinchbeck , che all’inizio del secolo hanno segnato il risvegliarsi dell’interesse al riguardo; ma lo sviluppo più notevole delle ricerche sul lavoro femminile risale all’ultimo quarto di secolo: l’affermarsi, a livello accademico, della storia delle donne come disciplina ha determinato un notevole impegno storiografico intorno all’esame della posizione occupata dalle donne nell’economia nei secoli passati. Il ventaglio di problemi e domande affrontato è stato molto ampio: dalla presenza numerica sul mercato del lavoro, al rapporto tra strategie familiari e strategie lavorative, al posto occupato dal lavoro nella costruzione dell’identità femminile.

Tuttavia, nonostante il notevole impegno profuso nella ricerca, i problemi lasciati irrisolti sono ancora numerosi. Pare estremamente difficile fare luce sul lavoro delle donne, che continua a sfuggire a definizioni precise, e il fatto che tra le sue caratteristiche fondamentali ci siano la scarsa formalizzazione e la labilità dei confini tra lavoro e non lavoro (intendendosi, con quest’ultimo, il lavoro di cura) sembra talvolta giustificare una certa vaghezza nell’argomentazione, che si nutre di affermazioni le quali non vengono poi suffragate da fatti concreti. Il lavoro delle donne viene così definito “flessibile” o “legato al ciclo di vita”, ma è molto difficile dare spessore a tali considerazioni, che rimangono spesso sospese nel limbo delle buone intenzioni storiografiche.
Le lacune tematiche sono ancora notevoli: studiare il lavoro delle donne ha spesso significato limitare l’attenzione alle “donne sole”, nubili o vedove, che più frequentemente compaiono nella documentazione. Molte delle difficoltà che incontra la storiografia nel definire in modo adeguato il lavoro femminile sono infatti imputabili alla reticenza, se non al silenzio, delle fonti. Quelle più tradizionalmente utilizzate per determinare numero e composizione della popolazione attiva, ad esempio le fonti censuarie, dagli stati delle anime ai moderni censimenti, tacciono troppo spesso sulle occupazioni femminili. I compilatori, parroci o funzionari statali, classificavano generalmente le donne esclusivamente in funzione del loro stato civile, come vedove, nubili o maritate: solo le serve residenti con i padroni venivano quasi sempre definite secondo la loro occupazione. Le sole, al di fuori delle serve, a cui talvolta venisse attribuita un’attività lavorativa erano appunto le “donne sole”, nubili o vedove. Erano le coniugate a passare maggiormente sotto silenzio come lavoratrici, e con loro le figlie nubili ancora conviventi con i genitori.

Al silenzio delle fonti ha fatto seguito il silenzio della storiografia: il fatto che “nelle attività organizzate a livello familiare, come quelle degli artigiani (…) il lavoro delle figlie e soprattutto delle mogli, pur assumendo in non pochi casi una grande importanza” rimanesse “invisibile e senza riconoscimenti giuridici” ha come diretta conseguenza la scarsa attenzione della ricerca per il lavoro delle donne sposate, che viene spesso liquidato come semplice compartecipazione all’attività del marito. Lo stesso vale per le giovani nubili che non andavano a servire: non sapendo molto di loro, ci si limita a ipotizzare la loro collaborazione all’economia familiare.

Quello dell

IL BASSORILIEVO DELLA PORTA DEL SOLE DI TIWANAKU IN BOLIVIA

Lo scopo della pubblicazione in Internet è relativo alla necessità di entrare in contatto con il mondo accademico che è soprattutto concentrato negli Stati Uniti.

L’argomento molto specifico, qual è appunto l’inviduazione di un sistema ideografico e di un sistema di misura geometrico, rende finalmente giustizia delle infinite sciocchezze che finora sono state scritte attorno al significato del bassorilievo della Porta del Sole, che per esteso, sviavano anche le valutazioni sul livello intellettuale delle popolazioni andine. La ricerca non è ancora terminata, e il mio desiderio di entrare in contatto con il mondo accademico statunitense è determinato dalla necessità di effettuare le opportune verifiche alla mia ipotesi.

Autore: Cesare Berrrini

Link: http://www.mtsn.tn.it/astrofili/mat/puerta/ita.html

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