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Laura TUSSI: La bilocazione cognitiva. Il decentramento delle prospettive d’analisi.

Un procedimento narrativo comporta il processo di presa di distanza rappresentato dalla lettura della propria storia con occhi diversi, con lo sguardo altrui, come se non fosse in realtà mai appartenuta al legittimo autore, in una bilocazione cognitiva e di decentramento delle prospettive ermeneutiche, vale a dire il prendersi cura del racconto diretto e delle testimonianze indirette che riguardano la vita di qualcuno diverso da noi. E’ possibile entrare ed uscire dalla propria storia di vita, nella consapevolezza di poterla manipolare in ogni modo anche per diletto, ma non è lecito farlo con le narrazioni degli altri, evitando così che i giochi di potere divengano autentiche forme d’abuso nei confronti delle storie altrui.

L’educatore criticando le sicurezze altrui, i linguaggi stereotipati, i modelli meccanizzati di tipologie ermeneutiche, interpretative e l’utilizzo che i non pedagogisti agiscono rispetto le storie dei loro pazienti o utenti o clienti, che per la ricerca pedagogica sono sempre preziosi narratori ed interlocutori, agisce la narrazione, in quanto l’educatore di professione interagisce nell’ascolto e nell’interlocuzione con le storie altrui.

L’insegnante in quanto educatore si incontra con le storie di vita degli allievi, dei loro genitori, dei colleghi, di tutto il personale della scuola, nei contesti dell’apprendimento, imparando a conoscere le persone, inserendosi nel loro campo esistenziale al fine di ingenerare cambiamenti esistenziali minimi o sostanziali, adottando modalità e metodologie di ascolto, di dialogo interrelazionale e di conversazione stimolante verso i nodi cruciali del racconto di sé.

Dunque l’educatore e anche l’insegnante si assumono la responsabilità relativa ai processi di formazione autobiografici che ricostruiscono le storie altrui come in un mosaico di frammenti ricomposti da nuovi spunti quotidiani. Dunque l’insegnante che adotta un metodo formativo di tipo autobiografico, in quanto educatore e pedagogista diventa uno scrivano intelligente, in quanto nel lavoro di formazione, di analisi, di osservazione ermeneutica e ricerca interpretativa, registra e annota eventi, azioni, episodi, riferimenti, espressioni di sentimenti con l’obiettivo di analizzare le storie, al fine di restituire loro un’ermeneutica interpretativa di senso e significato, riconsegnandola ai legittimi autori proprietari.

L’approccio autobiografico è anche una tecnologia con itinerari specifici per ingenerare narrazioni utilizzando vari stimoli, in quanto si inizia sempre con il far ricordare al narratore ciò che desidera in libertà assoluta, raccontando anche i momenti esistenziali più piacevoli, per cui i racconti si riagganciano a quelli precedenti e a quelli seguenti, trascritti nel corso dell’esperienza.

Così l’educatore raccoglie voci e le traduce in scritture che possono essere lette e conservate, ricavate da tracce da approfondire tramite domande che suscitino interesse e che stimolino la memoria, l’azione del ricordo e della rievocazione narrativa.

L’itinerario discorsivo dove scrivere o leggere la propria autobiografia o i racconti altrui diventa un processo vitale, apicale e cruciale, per cui occorre procedere da soli, scrivendo i propri appunti, delle poesie interiori, il proprio diario, innescando un percorso generatore di altre esperienze, alimentando altra memoria. L’educatore autobiografo concepisce il racconto orale come effimero perché non impegna l’educando con cui si lavora così quanto la decisione di trascrivere i propri vissuti e le storie personali. L’atto di scrivere e la scrittura, soprattutto autobiografica, differenzia ogni individuo e la sua unicità, perché le conversazioni e i discorsi verbali obbediscono a ritmi, ritualità e modalità molto spesso standardizzate e stereotipate, mentre la scrittura è libera e mette l’autore di fronte al proprio sé, emancipandolo. Lo scrivere è un’autentica finestra dell’interiorità di ciascuno che è appunto d

Laura TUSSI: Apprendere lungo tutto l’arco della vita.

Progetto di “Educazione Permanente” del CSA di Milano

Area Educazione Permanente

L’educazione permanente rientra nel quadro del sistema integrato di istruzione e formazione degli adulti ed è volta a favorire “l’apprendimento in tutto l’arco della vita”. A trent’anni dalle “150 ore” nate come conquista sindacale dei lavoratori a garanzia del diritto allo studio per tutti, oggi l’educazione degli adulti fa riferimento agli obiettivi della Lifelong learning definiti in sede di Unione Europea.

La Legge di riforma della scuola individua l’educazione permanente tra i suoi principi direttivi e riconosce “pari opportunità per tutti di raggiungere elevati livelli culturali e sviluppare capacità e competenze coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea. ( L n. 53/03 art. 2, comma a)

L’attuazione di progetti di educazione degli adulti è affidata all’azione specifica dei “Centri Territoriali Permanenti”, che operano a livello di distretto scolastico e hanno sedi territoriali coordinamento istituite nella maggior parte dei casi presso Istituti Comprensivi o Scuole Medie. Ogni adulto che rientra in formazione ha l’opportunità di negoziare con i docenti del CTP/Eda la definizione del proprio percorso di aggiornamento culturale e/o di studio mediante la stesura di un patto formativo personalizzato.

I corsi a cura dei Centri Territoriali Permanenti hanno durata variabile, possono essere annuali, brevi o modulari con un calendario definito in ore rispetto al percorso programmatico. Al termine di un corso o di un percorso di formazione è previsto, a seconda dei casi, il rilascio di titoli, certificazioni o attestazioni dei crediti formativi acquisiti, validi anche per l’accesso a livelli di istruzione superiore e di formazione professionale.

Pubblicazioni:

– Unione Europea. Fondo sociale europeo e Ministero del Lavoro. ISFOL, Politiche Regionali per la formazione permanente. Primo rapporto nazionale. Luglio 2003

– MIUR Direzione Generale per l’istruzione postsecondaria e degli adulti e per i percorsi integrati.
L’offerta formativa nei centri territoriali permanenti. Aprile 2003

– Quaderni degli annali dell’istruzione. Le competenze di base degli adulti. Vol. I, Il. Ed. Le Monnier 2002 Info:
Area Educazione Permanente: Responsabile Nella Papa,
Ufficio per la progettazione e l’innovazione dell’Offerta Formativa
– Tel 02.58382665/Fax 02.58303129
e-mail: integrazione@milano.istruzione.lombardia.it

Autore: Laura Tussi

Laura TUSSI: Adolescenza, educazione ed affetti.

I ragazzi considerati “difficili” manifestano comportamenti percepiti come dissonanti rispetto ai modelli condivisi, e danno la percezione effettiva di un disagio interrelazionale all’interno del gruppo sociale. Per gran parte dell’approccio pedagogico, ma anche psicologico, il progetto rieducativo del ragazzo difficile parte dalla presa in considerazione della storia di vita personale, collegata agli affetti, alle figure primarie di riferimento, ai codici comunicativi della prima infanzia, alle dinamiche affettive che si sviluppano all’interno del contesto familiare.

Il paradigma pedagogico teoretico individua il contributo del soggetto nella costruzione del proprio modello d’interpretazione del mondo e di azione sullo stesso.

Con il paradigma fenomenologico si individua il comportamento deviante come la parte di un tutto complesso ed individuale: il soggetto.

Dal tutto si può comprendere la parte. Il “ragazzo difficile”, nella sua globalità di persona, fornisce indizi per cogliere il comportamento deviato.

Una relazione educativa, per essere autentica, deve fondarsi sul presupposto di una reale comunicazione con l’altro, in un interscambio che provochi una rivisitazione e rielaborazione personale.

Spesso negli adolescenti si avverte un profondo disadattamento interiore, ossia assenza di intenzionalità, per cui il soggetto risulta incapace di attribuire senso e significato alla realtà. Subentra una svalutazione del sé affidata spesso ad un altro coetaneo o ad un adulto, inseguendo una inutile fuga dal proprio sé, che a volte raggiunge gli estremi del suicidio e dell’abuso di sostanze.

Con la distorsione dell’intenzionalità si verifica un eccesso dell’io, una volontà assoluta di affermare se stessi, con un posto centrale ed esclusivo nella costruzione della realtà, che paradossalmente rivela una fondamentale incapacità di comunicare con l’altro. L’”altro” diviene un esclusivo mezzo di affermazione di sé, come spettatore del proprio esibizionismo narcisista.

Lo scopo pedagogico mira ad una strutturazione dell’intenzionalità, ossia la capacità, anche creativa, di attribuire senso e significato al mondo e alla realtà, giungendo così ad una riappropriazione soggettiva, all’adattamento sociale, al reinserimento, all’entropatia.

L’intervento educativo ed anche psicologico sono volti ad ampliare l’orizzonte qualitativo del mondo relazionale del ragazzo, al fine di costruire condizioni di ripensamento della realtà, con l’obiettivo di rieducare e condurre all’ottimismo esistenziale e colmare le carenze con pratiche di restituzione, come attraverso l’educazione al bello, al difficile, all’impegno, al senso di responsabilità.

All’interno del libro “Fare male, farsi male” vengono testimoniati tre livelli importanti su cui opera l’istituto di analisi dei codici affettivi “Il Minotauro” di Milano: il livello della formazione ereditato da Franco Fornari che lasciò ai suoi allievi il compito di portare un’ottica psicanalitica al di fuori del setting, ma di utilizzare la teoria psicanalitica dei codici affettivi nei contesti gruppali ed istituzionali. Questa è l’anima originaria del Minotauro, nato intorno al 1985, con l’obiettivo di cimentarsi in progetti più ampi ed in qualche modo di portare il soccorso, la consolazione e la comprensione che la figura psicanalitica può dare, in un ambito culturale più ampio e non prettamente duale e clinico.

In questo libro è testimoniata una forte propensione del centro “Il Minotauro”, a fare ricerca di base, anche spesso su vari argomenti su cui non è stato scritto nulla e su cui non si ha un confronto bibliografico di supporto. Questa passione per la ricerca si è attivata per partire dalla formazione: non si può praticare formazione se non si conosce il gruppo, l’istituzione, il problema di cui si tratta. Quindi la ricerca è a sostegno del lavoro istituzionale, ma essa ha assunto anche un significato diverso, di sostegno all