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Michele SANTULLI. Hackert, il grande pittore, a Isola del Liri e Enitrella.

Jakob Philipp Hackert (1737-1807) non ha bisogno di presentazioni nel contesto dei massimi artisti pittori europei del 1700. A noi della zona piace sapere che nel 1793 intraprese un lungo viaggio nell’Abruzzo dell’epoca, provincia del Regno di Napoli, e più esattamente nel cosiddetto Abruzzo Ulteriore II tra cui Avezzano e Valle di Roveto spingendosi fino ad Isola del Liri, anche Regno di Napoli ma Terra di Lavoro.
Nel corso del soggiorno nella zona, lungo il corso del Liri, realizzò opere a Capistrello, a Balsorano e sicuramente in altre località. La città dove soggiornò più a lungo fu Isola di Sora oggi Isola del Liri dove in più riprese dipinse opere notevoli sulla Cascata Grande o Verticale e su quella Obliqua o del Valcatoio: lo spettacolo dell’acqua esercitava molto fascino sull’artista, anche dopo le esperienze straordinarie al Palazzo Reale di Caserta. Il dipinto in particolare del Valcatoio ci fa toccare con mano quasi la imponenza e la ricchezza dello spettacolo naturale offerto alla visione dello spettatore: il Castello Boncompagni oggi Viscogliosi era  una immagine unica in tutta Europa con affianco quelle due visioni impagabili delle cascate. Oggi quella del Valcatoio, da almeno cinquantanni, è stata ammutolita, grazie, a mio avviso, alla ignavia e indifferenza delle locali istituzioni, prima di tutte quella comunale, e poi quelle provinciali, regionali, le soprintendenze…
In quasi cinquantanni nulla è stato colpevolmente mai intrapreso per restituire  alla città  quel bene a essa  spettante e quello spettacolo a essa tolto: i cosiddetti cittadini? Insensibili ed indifferenti. A quell’epoca le due cascate erano note ai pittori, prima di tutto quelli stranieri residenti a Roma che si sobborcavano al lungo viaggio per andare a ritrarle e successivamente anche agli artisti della scuola napoletana tra cui i Carelli e i Fergola.
Hackert, che come si sa era il pittore onorario del Re di Napoli, in occasione di un’altra dislocazione in questa regione anni prima, aveva lasciato numerose tracce artistiche tra le quali un disegno splendido di Itri e un altro dell’antica Priverno. Ma il  viaggio del 1793 merita particolare attenzione: ci siamo imbattuti in una sua lettera scritta ad un suo amico in cui parla e descrive le sue esperienze e quando parla di Isola del Liri ne è così attratto da  definirla ‘un’altra Tivoli’: un bel titolo molto significativo della città sul Liri: infatti la cittadina sull’Aniene era una delle tappe obbligate degli artisti stranieri sia per le celebri ville antiche ivi conservate e sia  proprio a seguito delle sue cascate e giochi di acqua. E mentre percorre la strada lungo il Liri che lo riporterà a Napoli, ad un certo punto  “a quattro miglia da Isola” si imbatte in uno spettacolo  naturale che ancora di più lo colpisce e cioè le cascate e cateratte del Liri in località ‘Anatrelle’ in verità: Anitrella. E nella lettera di cui sopra  dà sfogo alla sua impressione immediata: una “delle più belle cascate da me viste, che ho ritratto più volte” aggiungendo qualche particolare oltremodo istruttivo: “queste cascate di Anatrelle sono completamente sconosciute agli altri pittori, io sono stato il primo a scoprirle e a ritrarle”.
Proponiamo al lettore la immagine di quella che a mio avviso è la più eloquente e pregnante e al medesimo tempo la più preziosa in quanto facente parte della Collezione Reale della Regina d’Inghilterra.

Autore: Michele Santulli – michele@santulli.eu

Didascalia immagine: J.P.Hackert le cascate di Anitrella, 1793, 77,7×63, Collezione Reale Inglese

Michele SANTULLI. Il costume ciociaro. Una pinacoteca a Cassino..

Nell’ambito dell’arte europea dalla metà del 1700 fino alle prime decadi del 1900 il soggetto più amato e illustrato dagli artisti è stato il personaggio in costume tradizionale della zona: è arduo entrare in un museo del pianeta e non vedervi appeso uno di questi quadri; la maggior parte degli artisti europei ha illustrato il personaggio in costume ciociaro tra i quali, per restare solo nella crema, Hubert Robert, Manet, Degas, Corot, J.S.Sargent, Leighton, Cézanne, Van Gogh, Picasso, i Futuristi……

Leggi tutto nell’allegato: IL COSTUME CIOCIARO, UNA PINACOTECA A CASSINO

Autore: Michele Santulli – michele@santulli.eu

Michele SANTULLI, Un incontro con Van Gogh.

Ove più ove meno il nome di Vincent van Gogh è patrimonio di tutti, come pure  la sua vicenda esistenziale e perciò è motivo di attenzione da parte del lettore apprenderne più da vicino un aspetto poco conosciuto: tutto è stato scritto sulla sua esistenza, sulle opere; è da dubitare che un qualche aspetto sia sfuggito agli studiosi ed ai ricercatori.
Le circa mille lettere conservate scritte al fratello Théo principalmente e a parenti ed amici rappresentano la fonte primaria della conoscenza del suo pensiero e della sua arte: lettere scritte indistintamente in francese, in inglese, naturalmente in olandese, a confermare una personalità  non comune.
Come ben si immagina, tali note epistolari sono degli sprazzi di vita reale che investono la sua attività quotidiana, la sua arte, i problemi contingenti riferiti alla produzione artistica ed anche alla permanente negativa congiuntura economica personale; enormemente stimolante e fecondo il suo pensiero, le esternazioni, le letture. L’eccezionalità del personaggio scaturisce sia dal messaggio artistico sia dal contenuto delle epistole, una miniera inesauribile di concetti e di intuizioni ed anche di confessioni. Eppure in questi ultimi anni gli studi e ricerche da parte degli studiosi si sono sensibilmente ridotti a seguito sicuramente di una situazione, pure essa eccezionale e fuori della tradizione; ad occuparsi criticamente dell’artista  ora è chiamato  unicamente il Museo Van Gogh di Amsterdam, fatto divenire il solo giudice della bontà di un’opera!
Il risultato è che nessun conoscitore e cultore dell’artista si sente stimolato ad esprimersi; è un caso unico, credo, nella storia dell’arte e ciò è imputabile alle case d’aste che, attente al solo aspetto commerciale, mettono in vendita unicamente le opere dichiarate autentiche dal Museo, buone o cattive! Ma qui arrestiamo tale considerazione in quanto ci allontanerebbe dal nostro tema che pertanto è strettamente collegato a tale situazione fuori del comune e che perciò abbiamo ricordato.
Dalle lettere si evidenzia un motivo che  occupa l’artista, un motivo tipico e personale, come la sua pittura pur se in realtà, come già espresso, sfuggito all’attenzione dello studioso: il tema della carrozza quale rappresentazione e personificazione della esistenza dell’uomo e il tema del cavallo che la tira.
Già una esperienza da bambino lo accompagnerà per tutta la vita, quella  dello zio Vincent  a bordo della sua carrozza che entrava fragorosamente nel cortile della pieve di Zundert per far visita al fratello, padre dell’artista, e ne scendeva con doni e leccornie per i nipoti.
Saranno le letture e le esperienze della età matura che gli apriranno orizzonti più ampi su tale argomento. In particolare è un libro: ‘Tartarino di Tarascona’ di Alphonse Daudet. In decine di lettere al fratello, ai parenti, agli amici ne raccomanda la lettura, come pure ripetutamente, specie negli ultimi quattro anni di vita, un argomento delle lettere è il cavallo: questo nobile animale è l’uomo che, come il cavallo, è obbligato a tirarsi dietro una carrozza: “i poveri cavalli di carrozza di Parigi, quali tu stesso e i poveri impressionisti nostri amici..” o  “…quei nevrotici cavalli di carrozza che sono Delacroix e de Goncourt…”; la carrozza è la esistenza che ognuno deve portarsi dietro; e quella dell’artista Van Gogh non è cosa piacevole e di conseguenza sofferenze ed umiliazioni per il cavallo a essa attaccate; meglio liberarsene e tornare alle origini,  “… a pascolare nei prati, liberi, spensierati…”. E naturalmente si innesta tutta una descrizione delle sue sensazioni e concezioni, nonché sofferenze e pene, che lo portano a soffermarsi continuamente sull’argomento ed a definirsi un eterno viaggiatore in cerca di una destinazione felice per la sua carrozza. E una conseguenza lo colpisce che pure ritorna nelle lettere e gli rammenta la sua esistenza: il lamento della carrozza: Tartarino si trova in Algeria, a caccia, un giorno vede abbandonata sul ciglio di una strada una diligenza, vecchia e degradata sulla cui fiancata si legge ancora qualcosa che gli ricorda il suo paese d’origine, Tarascona e si avvicina; la diligenza lo riconosce e gli parla: “per anni ho fatto servizio tra Arles e Tarascona, ben curata e lucidata, quando partivo ero salutata da tutti e tirata da cavalli ben addestrati e ben curati percorrevo la distanza fino a Tarascona dove arrivavo festeggiata e salutata. Poi è arrivata la ferrovia e quindi non hanno saputo più che farne e mi hanno venduta qui nel Maghreb dove di me non hanno avuto alcuna cura, tirata da cavallucci selvaggi e nervosi che mi hanno fatto passare su ogni tipo di strada finché mi hanno ridotta in questo stato e qui abbandonata, a morire.”
E la carrozza rappresenta l’esistenza terribile dell’artista nel manicomio di St. Rémy, un anno di atroci sofferenze e solitudine, in compagnia di malati di mente. E adesso anche lui, povero cavallo, vuole liberarsi e si libera, della sua carrozza di sofferenza cioè del manicomio di St. Rémy  e tirarne un’altra, una nuova: e invero una nuova esistenza lo aspetta, a Auvers-sur-Oise!
Cioè la fine, poco più di due mesi dopo!

Autore: Michele Santulli – michele@santulli.eu