Archivi categoria: Archeologia

Michele Zazzi. Stele funeraria 168 dalla Necropoli di Certosa Bologna.

La stele di arenaria è di dimensioni monumentali ed è decorata a bassorilievo su entrambi i lati.
Il lato A è suddiviso in tre fasce o registri.
Sul registro superiore vi è rappresentata una scena di lotta tra un serpente ed un ippocampo, animali fantastici che alludono al mondo ultraterreno.
Nella fascia centrale un demone alato guida il defunto verso l’oltretomba su un carro (biga) trainato da cavalli alati.
Nella parte inferiore un cavaliere armato di spada ed abbigliato con corazza affronta un guerriero nudo con scudo ovale e spada a doppio tagliente. La scena viene interpretata variamente come rappresentazione di giochi funebri o come combattimento tra un guerriero celta ed un cavaliere etrusco.
Sula lato B un demone alato porta/guida per mano il defunto a piedi verso l’oltretomba.
La stele rientra nell’ambito della produzione felsinea dei segnacoli tombali della seconda metà del V secolo a.C. che trae spunto da modelli iconografici proposti dalla ceramica attica del periodo. In particolare rientra tra quegli esemplari che presentano due lati figurati rispetto alla netta prevalenza dei monumenti della specie che hanno un solo lato lavorato.
Nella stele in oggetto il tema del passaggio del defunto dalla vita alla morte è descritto mediante due scene diverse in cui compare sempre un demone alato, che potrebbero essere interpretate rispettivamente come riferite al distacco del defunto dal mondo dei vivi e quindi al viaggio di quest’ultimo verso l’aldilà
Il segnacolo è conservato presso il Museo Civico Archeologico di Bologna.

Sulle stele felsinee cfr., tra gli altri:
– Studi sulle stele etrusche di Bologna tra V e IV secolo a.C., a cura di Elisabetta Govi, Edizioni Quasar, 2014.

Autore: Michele Zazzi – michele.zazzi@alice.it

Mario Zaniboni. Colonna di ferro.

Un oggetto che lascia perplessi i visitatori è una colonna (o, se si vuole, un pilastro) che va sotto il nome di Colonna di Ferro o Colonna di Asoka, che si trova in India presso la città di Delhi, nel complesso detto Qutb. Asoka fu un grande sovrano dell’enorme impero di Murya, che fra il IV e il II secolo a.C. comprendeva tutta l’India e molte regioni circostanti.
Inizialmente, la colonna, presumibilmente costruita tra il III e il V secolo a.C. (qualcuno ha dato la data precisa del 423 a.C.) e alla quale fu aggiunto un capitello della stessa natura, era posizionata in un luogo denominato Vishnupadagiri (collina dell’impronta di Visnù) situato a una cinquantina di chilometri dalla città indiana di Bhopal. Allora era una collina sacra, nella quale si trovava un centro dedicato alle ricerche astronomiche, dove la colonna aveva una precisa funzione: nel solstizio d’estate (21 giugno), la sua ombra era indirizzata verso il piede di Anantasayain Visnù.
Il pilastro fu trasportato nell’XI secolo a Qutb, nelle vicinanze di Delhi dal primo sultano di Delhi e fondatore della dinastia dei Mamelucchi di Delhi, Qutb al-Dīn Aybak.
E’ in ferro battuto, alto 7 metri e 21 centimetri, con un diametro di 41 centimetri e del peso di circa 6 tonnellate o forse più. Sulla stesso si trova uno scritto in sanscrito vedico, nel quale è riportato che essa era dedicata al dio della conservazione Visnù, una divinità che, insieme con Brahma e Shiva, forma la Trimurti, che rappresenta i tre aspetti della divinità.
Secondo le ipotesi fatte, la colonna fu fatta costruire durante l’impero Gupta, dal sovrano Chandragupta II Vikramaditya, che regnò verso la fine del V secolo, come si visto essere scritto sulla colonna stessa, per celebrare la sua vittoria sul popolo dei Vahilakas.
Non sarebbe nulla di eccezionale se, dopo tanti secoli, presentasse un’avanzata ossidazione, giacché il ferro, se non è adeguatamente protetto, è indifeso nei confronti dell’umidità, che piano lo fa arruginire e lo distrugge. Come mai ciò non accade? Si suppone che la sua superficie sia stata protetta da uno strato protettivo, che piano piano nel tempo ne abbia attivato la sua funzione, ma non manca chi è dell’avviso che sia stata protetta al momento della sua costruzione e che chi l’ha costruita avesse cognizioni particolari che gli consentivano di lavorare il materiale in modo tale da renderlo immune agli attacchi dell’umidità.
Naturalmente, la sua eccezionale resistenza alla corrosione e alla ossidazione rappresenta una singolarità tale da attirare l’attenzione di diversi studiosi, che hanno cercato di comprendere la ragione di quel fenomeno, tanto che non mancano coloro che ritengono la colonna sia una vera e propria POPArt; invero, è un oggetto che, considerata la sua caratteristica di non essere intaccato dall’umidità, è stato costruito in un’epoca che non corriponde a quella che gli si è attribuita, il che sembra impossibile, a meno che gli antichi non avessero conoscenze tecnologiche che forse neppure oggi sono disponibili.
Stando ai risultati degli studi portati a termine dal professor indiano Gupta, il metallo costitutivo della colonna è ferro con una purezza del 99,72%, mentre quello moderno, con presenza di manganese e zolfo, due elementi mancanti nella colonna, può raggiungere una purezza fino al 99,8%; fra l’altro, risulta che abbia la superficie protetta da uno strato protettivo di ossido. Oggi, non si trova nulla di simile.
Un gruppo di esperti, guidato dal professor R. Balasubramaniam dell’Istituto Indiano di Tecnologia, ha fatto una serie di analisi a campioni della colonna, giungendo alla conclusione che essa è costituita da ferro pressoché puro, nel quale è stata notata la presenza piuttosto abbondante di fosforo, che evidenzia una tecnica particolare di fusione di cui erano dotati i metallurgisti di allora. Il fosforo è presente nel pilastro per lo 0,18%, quando oggi lo è solamente per lo 0,05% nelle produzioni degli altiforni della moderna metallurgia; ma importante un’altra differenza nella composizione: a quei tempi, non si usava l’ossido di calcio (CaO), cha ha proprietà di allontanare il fosforo, facendolo inglobare nelle scorie della fusione. Pertanto, il fosforo, con l’aiuto del tempo, potrebbe essere intervenuto come catalizzatore, favorendo la composizione di uno strato protettivo superficiale della colonna, formato da ferro, fosforo e idrogeno, dello spessore di circa cinque centesimi di millimetro che, facendo diminuire sensibilmente l’attacco di ossidazione idrica grazie alla porosità minima, è più che sufficiente a impedire l’azione aggressiva dell’atmosfera sul ferro pressochè puro.
Secondo le testimonianze trasmesse da una generazione a quella successiva, l’appoggiare la schiena alla colonna e riuscire, abbracciandola, di far toccare fra di loro le punte delle dita, dimostrerebbe che la persona è buona, sincera e incorruttubible, proprio come lo è lei. Al giorno d’oggi, questa prova non è più possibile, perché è stata posta una barriera metallica con la funzione di impedire che il toccarla ripetutamente, magari con le mani non del tutto prive di sostanze inquinanti, a lungo andare possa in un qualche modo danneggiarla.
A conclusione, si può affermare che, dopo essere partiti ritenendo che la Colonna di Asoka fosse un POPArt, si è giunti alla convinzione ragionata che si sia trattato di un processo naturale su una struttura di costituzione tecnologicamente eccezionale senza disturbare interventi vari, fra cui quelli di extraterrestri o di altri ancora.

Autore: Mario Zaniboni – zamar.22@libero.it

AA.VV. “LOU RÈHCONTROU” di HÔNE. Tracce di un insediamento della seconda età del ferro.

Nel mese di gennaio 2015 è stato eseguito un intervento di assistenza archeologica in un limitato lotto di terreno situato a valle del cimitero comunale di Hône, con lo scopo di verificare la presenza di possibili depositi antropizzati nell’area scelta per la costruzione di una nuova cabina di trasformazione elettrica.
Il rinvenimento di alcuni frammenti ceramici riferibili ad epoca protostorica e di una stratigrafia archeologica in posto hanno autorizzato la programmazione di specifici interventi di scavo stratigrafico, volti ad indagare la natura e la potenza dei depositi sepolti, che si sono svolti nei mesi di febbraio e ottobre 2015.
L’area oggetto di scavo è prossima alla chiesa parrocchiale di San Giorgio, all’interno della quale un’attività pluriennale di ricerche e scavi programmati ha permesso di riportare alla luce una complessa sovrapposizione di fasi costruttive e di trasformazioni dell’edificio di culto che si possono situare tra il X e il XVIII secolo…

Leggi tutto nell’allegato: Hone_Tracce_di_un_insediamento

Autori: Gabriele Sartorio, Gwenaël Bertocco, Gabriele Martino

Fonte: Bollettino della Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Regione Autonoma Valle d’Aosta, n. 14 del 2017