E’ un diploma, ovvero un privilegio di concessione, di Guglielmo II detto il Buono per “divina gratia Jerusalem et Sicilie Magnificus Rex”, che ha sposato la pia Giovanna figlia di Enrico re d’Inghilterra, a gettare ampi squarci di luce sulla mitica figura di Pietro Ferrara, fondatore e primo abate dell’Abazia di Materdomini e dell’Ordine dei Monaci Bianchi in Nocera Soprana (ora Nocera Superiore in provincia di Salerno).
Da questo diploma, datato 17 luglio dell’anno del Signore 1178 e “datum in Palatio nostro Sarni”, si apprende che Guglielmo II è venuto a conoscenza che Pietro Ferrara, appellato dallo stesso re “dudum armiger Nostre majestatis strenuus” (già valoroso uomo d’arme della Maestà Nostra), a capo di altri suoi compagni, che al pari di lui hanno abbandonato l’antico mestiere delle armi, si è consacrato, anima e corpo, al culto di una miracolosa icona “Beate Virginis Matris Domini” , che si crede opera di San Luca Evangelista e dissepolta, non molti anni prima, nelle estreme propaggini del tenimento del castello di Nocera, presso Rocca.
L’accorrere di numeroso popolo, attratto dai continui miracoli che Dio vi opera per intercessione della Sacra Cona, ha spinto Pietro Ferrara, che adesso, dismesso l’antico casato, ha preso a nominarsi Pietro de Regina perché “a Regina coeli cognomen voluit accipere”, a costruire sul posto del ritrovamento della miracolosa immagine un maestoso tempio con un convento annesso, quest’ultimo sede degli umili frati addetti al culto e che formano il nuovo Ordine dei Monaci Bianchi, di cui lo stesso Pietro è stato eletto primo abate.
Proprio per assicurare la continuità e il decoro del culto della “Beate Virginis Matris Domini” nel nuovo santuario che re Guglielmo II, con il citato diploma del 1178, concede al “prefatum abatem Petrum”, e per esso all’Abazia di Materdomini, le cospicue rendite di un feudo di circa 800 ettari, che comprende le fertilissime terre racchiuse in quel grosso triangolo, che ha per un vertice la sorgente di San Mauro in località Acquafrigida e per gli altri due i casali di San Marzano e san Valentino. Questa munifica donazione reale viene confermata, con l’aggiunta di nuove concessioni, da un privilegio del gennaio 1220 dell’imperatore Federico II, a conferma di una predilezione, che durerà secoli, dei monarchi di Napoli e di Sicilia verso l’Abazia di Materdomini.
Dunque dal diploma di Guglielmo II il Buono sappiamo che Pietro Ferrara, prima di darsi alla vita eremitica in onore della Sacra Cona di Materdomini e quindi successivamente alla costruzione di un tempio per meglio diffonderne il culto, è stato un valoroso armigero sotto le bandiere dello stesso re Guglielmo, ma ciò molto prima che quest’ultimo ascendesse al trono, cui perviene soltanto nell’anno 1166. Infatti, tre anni avanti, nel 1163, come c’informa una pergamena della Raccolta Passarini, il milite Guglielmo de Ponticello, stratigoto della città di Nocera, ha donato a Pietro Ferrara un terreno, su cui sorgeranno in seguito parte delle fabbriche del santuario e del convento. In quell’anno Pietro ha già indossato un saio bianco in segno di mansuetudine, e con l’esempio della virtù, della penitenza e dell’umiltà ha cominciato a far proseliti alla Materdomini tra i rudi uomini addetti al crudele mestiere delle armi, tra quegli uomini cui un tempo non lontano era stato un capo valoroso e rispettato.
Sul periodo della vita di Pietro Ferrara, di quand’era temuto capitano d’armati, sappiamo ben poco. Il cronista Trojano Ferrara di Rocca, nel suo manoscritto sul santuario di Materdomini del 1520, per gli anni giovanili lo dice valoroso soldato, ma sregolato nei costumi. Il Rho nel suo libro “Sabati del Gesù di Roma o vero Consigli della Madonna”, edito nel 1665, e fra’ Serafino Montorio nel suo “Zodiaco di Maria – Stella 11a” dell’anno 1715, lo dicono ambedue “famoso nei fatti d’arme”.
Una cosa è