Le discipline psicologiche costituiscono dei modelli teorici volti allo sviluppo della personalità, in un’otticadi valorizzazione delle relazioni nei rapporti famigliari, e nell’area degli scompensi clinici intesi come fluttuanti delimitazioni tra disturbi nevrotici e psicotici.
Da questa lettura sintomatologica deriva la considerazione di fattori biologici, psicologici e sociali, ossia fattori biopsicosociali che si associano al disturbo psichico.
Nel Diagnostic Statistical Manual of Mental si definisce l’omosessualità come deviazione sessuale e nel 1974 i membri della commissione stabilirono di eliminare l’omosessualità dalle patologie. Questo dimostra la relatività dei giudizi psichiatrici e l’incertezza delle diagnosi.
Una ricerca di Brown Harris ha dimostrato l’influenza dei fattori sociali rispetto alle situazioni patologiche, proponendo eventi fattoriali che interagiscono nella genesi delle depressioni, come fattori di vulnerabilità, agenti causali di separazione, perdita e delusione.
Lo studio di Warner relativo alla schizofrenia riporta l’eziogenesi della patologia a cause di stress economico e disoccupazionale e indica fattori protettivi al fine di rendere le psicosi maggiormente accolte e integrabili nella società, fornendo posti di lavoro, con il trattamento della patologia nel settino terapeutico, tramite supporti clinici e psicologici.
Ciompi evidenzia un modello esplicativo della schizofrenia con fasi premorbose, periodi di acuti scompensi psicotici, in un’evoluzione a lunga scadenza.
Con questo modello analitico, la schizofrenia viene concepita come una patologia intermittente e non come disordine cronico in base a studi di etnopsichiatria che si occupa di variabili culturali.
Saraceno riconsidera le proprie osservazioni analitiche in ambito schizofrenico ad una multidimensionalità della malattia riconducibile a fattori macrosociali, a differenze culturali, a eventi esterni, a condizioni socioeconomiche e a contesti microsociali ossia interfamigliari.
La patologia schizofrenica presenta segnali di conflittualità, di devianza, di sofferenza individuale.
La psichiatria è cura dell’anima, dal greco antico, e la teoria psichiatrica moderna si è costituita con la caduta delle interpretazioni magico-religiose della follia. Piro individua differenti periodi nella fase evolutiva della modernizzazione psichiatrica: il periodo conservatore, la fase di modernizzazione, il mutamento e la difficile riforma degli anni ’80 e’90.
Gli anni ’60 vedono un clima politico e culturale nuovo con proposte riformistiche, con le rivendicazioni antiistituzionali e il progetto di settorializzazione psichiatrica, in cui si prevedeva di raccogliere i degenti in un settore, in una certa parte del territorio fornita da dispensari, da ambulatori e istituti intermedi. Jones prospettava la costituzione di una comunità terapeutica nel sostituire alla gestione violenta del manicomio la gestione comunitaria con l’eliminazione dei rapporti autoritari, lo sviluppo della comunicazione e la risocializzazione del malato. L’applicazione pratica di tale prospettiva avvenne con gruppi e commissioni di psichiatri intorno al ministro Basaglia.
La riflessione sulla gestione concreta del malato viene messa in discussione da diverse culture medico terapeutiche come ad esempio l’antipsichiatria di Laing.
Il tema dell’istituzionalizzazione prevede la risoluzione di un complesso di danni e interferenze per il lungo soggiorno coatto, con principi di autoritarismo e coercizione, dove il degente manifesta la progressiva perdita d’interessi in un processo di regressione e restringimento dell’io, nel più acuto vuoto emozionale.
La tesi di Basaglia verte sull’immagine e sull’analisi dell’istituzione manicomiale come ente che deforma la malattia mentale, nascondendola, impedendone una chiara lettura. L’introduzione dei neurolettici crea negli ospedali un’azione di recupero in