GLI ARCAICI MITI DEL MARE

Il primo esempio in assoluto di una popolazione dedita alle cose di mare e di conseguenza alla navigazione ci viene, e non poteva essere altrimenti, da quella culla della civiltà umana, che fu la Mesopotamia antica, più precisamente la sua estrema propaggine meridionale, bagnata dalle acque, non sempre tranquille, dell’Oceano Indiano, che penetra profondamente in quelle terre formando il Golfo Persico.

Qui, presso la vasta spiaggia, dove si trovano le foci del Tigri e dell’Eufrate, per millenni gli uomini si confrontano con quell’enigma rappresentato dall’infinita e mobile distesa azzurrina di acque amare. Alla fine imparano a conoscerlo e ad amarlo. Nar Marratum lo chiamano nella loro lingua. Sono i Sumeri e producono civiltà.

I semi di quella civiltà, assimilati e rielaborati ben presto dai confinanti popoli di ceppo semitico, non più nomadi, daranno vita alla splendida Babilonia e al formidabile impero degli Assiri. Così anche le conoscenze raggiunte dai Sumeri nell’arte marinaresca non andranno perdute, anzi serviranno da base per andare oltre. Il codice navale di Hammurabi del 2000 circa avanti Cristo n’è la conferma. Se si dà poi credito alla tesi di Stradone, secondo cui il luogo d’origine dei Fenici, prima del loro definitivo insediamento in tempi storici presso le rive del Mediterraneo orientale, sia da ricercarsi in un luogo prossimo alle coste del Golfo Persico, ci si può spiegare la fulminea capacità degli stessi a dar vita ad un’efficiente e potente marineria, che di lì a breve dominerà, incontrastata, i mari.

Purtroppo dell’alto grado di sviluppo della marineria dei popoli mesopotamici del sud restano poche testimonianze e di difficile interpretazione. Comunque già nel III millennio avanti Cristo, secondo lo storico navale Olaf Hockmann, i Sumeri erano in grado di svolgere regolarmente un proficuo commercio marittimo con i paesi rivieraschi dell’India.

Un pallido riflesso di quanta importanza il mare avesse per i Sumeri e come esso condizionasse la vita quotidiana, c’è dato dal pantheon delle loro divinità e da bellissimi miti. Soltanto un popolo, che vive di mare e sul mare, può elaborare una fantasmagorica cosmogonia imperniata sul mare quale divinità primigenia. Persino il loro più grande eroe popolare, il semidio Gilgamesh, veste i panni dell’intrepido navigatore.

Secondo un vasto e arcaico ciclo di leggende cosmogoniche mesopotamiche, in principio, quando non erano stati ancora creati il cielo, la terra, gli dei e gli uomini, esistevano soltanto Apsu ( “il calmo”, l’oceano cosmico, il principio maschile ) e Mummu ( “la ribollente”, il caos del mare, il principio femminile ).

Allorché i due elementi primordiali si unirono, confondendo le loro “acque”, ebbero inizio tutte le cose create. In primis la coppia divina: Ansar, Lo Spirito del Cielo, e Kisar, lo Spirito della Terra. Dalla loro eterna unione nasce continuamente la vita. Non a caso l’antichissimo geroglifico egiziano della vita è l’Anki o Ankh, che rimanda con tutta evidenza alle lettere iniziali di Ansar e Kisar. Quest’ultima considerazione la dice lunga sul comune patrimonio occulto, in cui affondano le loro radici tutte le misteriosofie arcaiche.

Dunque, secondo i testi mesopotamici, la vita viene dalle acque, l’uomo stesso nasce “per acque”. Chiara l’allusione al liquido amniotico, infatti nel gergo ginecologico “la rottura delle acque” è il momento che precede di poco il parto. In altri scritti abbiamo già accennato ai demiurghi quali uomini “salvati dalle acque” ( Mosè, Romolo, etc. ). Lo stesso Cristianesimo, attraverso l’acqua del battesimo, fa rinascere alla “vera vita” i suoi adepti, in quanto si è mondati dal peccato originale.
Anche la scienza moderna è concorde nel ritenere che la prima forma di vita, sul nostro pianeta, sia comparsa nelle acque del mare. Ed un “sovrano delle acque”, il potente dio Ea, è il primo dei nati dall’unione tra Ansar e Kisar. Da Ea nascerà poi Marduk, il solare vi