Giuliano CONFALONIERI. Il restauro.

Quando mezzo secolo fa frequentavo l’Accademia milanese di Brera – con a fianco il glorioso  Caffé Giamaica – per un corso di storia dell’arte, mi affascinò la professione del restauratore per la capacità, la passione e la pazienza che richiedeva ma soprattutto per la soddisfazione, a lavoro concluso, di vedere l’opera rinata (il termine indica le “operazioni svolte allo scopo di ripristinare la fruibilità di un’opera artistica che abbia subito alterazioni dovute a cause storiche o naturali”).
In architettura, gli interventi del Seicento  tendevano alla  salvaguardia del valore devozionale ed al rilancio della tradizione liturgica, alla conservazione delle antiche costruzioni dedicate al culto, preservando le parti migliori come la facciata di Santa Maria in Trastevere a Roma. Le scoperte e gli scavi archeologici (Ercolano, 1738; Pompei, 1748), ancora oggi alla ribalta della cronaca per il totale abbandono, introdussero nuove esigenze di consolidamento dei monumenti. Il rudere come testimonianza storica – purtroppo sono recenti le notizie del depauperamento dei beni artistici per mancanza di fondi – rimane tuttavia strettamente collegato alle condizioni politiche e delle Soprintendenze con in più il disinteresse della società moderna per tutto quanto non  sia redditizio.
Nel corso del tempo sono affiorate opposte tendenze al ripristino dei monumenti, alla ricostruzione di opere perdute (Torre del Filarete al Castello Sforzesco di Milano), al completamento di imprese non terminate (Duomo di Milano), al rifacimento delle facciate di Santa Maria del Fiore a Firenze, del Duomo di Amalfi, del Duomo di Arezzo.
Il problema del restauro in pittura si coniuga con la necessità di recuperare l’intera leggibilità dell’immagine nei suoi valori iconografici e culturali come gli interventi motivati da impellenti necessità di conservazione (il recupero degli affreschi del Ghirlandaio e del Botticelli prima della distruzione del coro di Ognissanti a Firenze). Nacquero scuole dedicate (a Venezia nel 1778) ed i restauratori furono investiti di incarichi ufficiali per limitare il saccheggio delle opere d’arte. Il distacco degli affreschi fu praticato nell’Ottocento con risultati alterni secondo procedimenti tramandati di padre in figlio; anche il mobilio conservato nei manieri deve essere necessariamente curato dall’incuria e dal trascorrere degli anni. 
Per la scultura, l’incremento delle collezioni di antichità e lo sviluppo del mercato internazionale consolidarono la pratica di integrare le mutilazioni degli oggetti e di ricrearne le parti con materiali diversi da quelli originali, per esempio quello del Laocoonte.  Nell’Ottocento lo scultore Canova si  sdegnò per la proposta di restauro del Partenone perché comprese che  spesso le opere venivano definitivamente deturpate o camuffate da restauratori prezzolati dai mercanti che vedevano solamente il lato economico (oggi si tende a mantenere l’aspetto autentico nel  quale le integrazioni posteriori possano essere riconoscibili).
Un caso particolare è l’affresco del Cenacolo di Leonardo conservato nella Chiesa  milanese di Santa Maria delle Grazie, la cui  storia tribolata inizia probabilmente per colpa dei ragazzi di bottega dell’artista che prepararono malamente la parete sulla quale doveva nascere uno dei capolavori universali. Restaurato più volte, malgrado gli impianti di condizionamento ha perduto qualcosa dell’impatto autentico ma conquista comunque il visitatore per la monumentalità della composizione, per la straordinaria immediatezza nella resa dei ‘moti’ dell’animo attraverso i gesti e le espressioni (la medesima sorte toccò all’affresco ‘Battaglia di Anghiari’ su una parete del Palazzo della Signoria a Firenze). Attualmente gli interventi sulle opere d’arte sono subordinati a ripristinarne l’aspetto originario (nei casi di operazioni drastiche si evidenziano le aggiunte) ma sono comunque sottoposti al giogo d