Nelle viscere della terra sono sepolti tesori inestimabili, mondi sommersi di cui spesso si ignora l’esistenza: gli affreschi che decorano gli ambienti nobili delle catacombe dell’area napoletana (che si svilupparono principalmente nella zona dei Colli Aminei per la presenza del tufo giallo, ottimo per scavare ampi passaggi sotterranei senza il pericolo di frane e smottamenti), fanno parte di questo passato che si svolge lungo stretti cunicoli e che ci parla del cristianesimo delle origini e dei suoi modi rappresentativi.
Ogni tomba, anche la più povera, posta in quest’intricata tessitura di anguste gallerie, presenta un segno di riconoscimento: una lucerna, una moneta, il fondo di un bicchiere, un monile, un giocattolo, altre volte un nome o un semplice monogramma.
Le tombe dei ricchi esponenti della nobiltà, della classe patrizia, presentano invece decorazioni, realizzate ad affresco o mediante la tecnica musiva, che oscillano tra il II ed il X sec. d.C.
In presenza di decorazioni a fresco è frequente imbatterci in fregi color ocra stagliati su fondi bianchi: la volontà di operare un netto contrasto cromatico è probabilmente da ricondurre alla necessità di adottare delle modalità pittoriche che permettessero la visibilità delle opere anche in ambienti in cui la luce indubbiamente scarseggiava.
In questi dipinti murali, per lo più realizzati per mezzo della cosiddetta “tecnica compendiaria”, da alcuni impropriamente definita impressionistica, i pittori si mostrano ancora sensibilmente legati al naturalismo tipico dello stile classico che stava giungendo al suo inesorabile tramonto ma i cui bagliori non si erano ancora del tutto spenti. Con i pochi tratti delineati per mezzo del pennello gli artisti che realizzarono queste opere cercarono di animarle suggerendo l’idea del movimento: proprio in questa preoccupazione si ravvisa il netto scarto che separa l’arte di questo primo cristianesimo da quelle tendenze dell’arte medievale improntate ad un’immobile ieraticità.
Il 313 d.C. era l’anno della promulgazione dell’editto con il quale Costantino concedeva libertà di culto ai cristiani: è interessante notare come questo evento di tipo storico-sociale abbia influito sulle tendenze artistiche, sottolineando nelle catacombe napoletane il sensibile trapasso da un’arte maggiormente allegorica e simbolica ad un’arte in maggior misura narrativa: ai temi puramente decorativi, alle scene legate alla rappresentazione di mestieri artigianali, di fiori, frutti ed animali simbolici come, per esempio, quelli che campeggiano nelle catacombe di S. Gaudioso o il pavone delle catacombe di S. Gennaro (IV sec. d.C.), si sostituiscono nell’anno dell’entrata in vigore del provvedimento imperiale, episodi espressamente connessi con l’Antico ed il Nuovo Testamento, che se prima erano comunque presenti erano però illustrati in modo volutamente criptico ed ambiguo. A questi temi tratti dalla Sacra Scrittura se ne aggiungono altri completamente nuovi che si ispirano alla passione di Cristo e alla sua resurrezione, alle morti dei cristiani martirizzati, alla Vergine, ai santi e agli apostoli. La novità della scelta dei soggetti delle figurazioni si esprime nell’oscillazione iconografica con cui i protagonisti delle scene vengono rappresentati.
La difficoltà di fissare un’iconografia univoca per un dato personaggio delle storie evangeliche, porta i cristiani ad attingere a piene mani al repertorio iconografico dell’età classica convertendo vecchie iconografie a nuovi significati: la vite, simbolo dell’ebbrezza e dell’invasamento bacchico diviene simbolo eucaristico del sangue vitale e salvifico versato dal Redentore, ed è con questo significato che la incontriamo in una scena del IV secolo che si snoda sulle pareti delle catacombe di S. Gennaro; l’agnello che accompagnava Orfeo nelle antiche scene mitologiche connesse a questo mito si carica di una nuova valenza trasformandosi nel simbolo del